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Lost in translation, ovvero: la storia di una proposta editoriale

indexPerdonate il titolo banale e forse fuorviante: in questo post non parlerò di tutto ciò che va perduto durante l’atto traduttivo. Vi spiegherò invece perché non scrivo da novembre, subito dopo aver festeggiato il compleanno del blog.

Beh, in realtà la risposta è molto breve: negli ultimi sei (otto) mesi non ho avuto tempo di dedicarmici. Perché mi sono trasferita a 130 km di distanza con tutto quello che comporta insegnare a Torino un giorno alla settimana e vivere vicino a Pavia il resto del tempo, ma anche – e per fortuna – perché ho avuto molto da tradurre.

Fra i libri su cui ho lavorato in questo periodo, vorrei dedicare un’attenzione particolare a Écue-Yamba-Ó di Alejo Carpentier, e vi spiego subito il perché: questo romanzo ha una storia piuttosto travagliata. Carpentier è l’autore su cui ho fatto la mia tesi magistrale, confrontando le diverse traduzioni esistenti di alcuni dei suoi romanzi. Le prime erano piuttosto vecchiotte, le ritraduzioni, invece, erano a cura di Angelo Morino, il mio professore universitario (e immenso traduttore) scomparso prematuramente nel 2007. Proprio Morino aveva iniziato tempo addietro, insieme alla mia relatrice di laurea Vittoria Martinetto, a tradurre le prime pagine di Écue-Yamba-Ó, primo romanzo di Carpentier.

Questo libro dal titolo così strano non ha visto la luce fino a pochi giorni fa. Con la scomparsa di Morino, il progetto era stato accantonato finché Vittoria non mi ha proposto di tradurlo insieme, per poi cercare un editore che volesse pubblicarlo. L’abbiamo quindi tradotto all’incirca nel 2010, e ci siamo messe alla ricerca di una casa editrice interessata. Einaudi e Sellerio, che avevano pubblicato gli altri romanzi di Carpentier, l’hanno rifiutato perché “poco commerciale”, pur elogiandolo molto (conservo ancora la dettagliata risposta dell’editor di Einaudi che l’ha valutato in termini decisamente positivi. Cito testualmente, sapendo di non fargli un torto: “anche in questo romanzo giovanile Carpentier è già un gigante della scrittura”).

A un certo punto siamo riuscite ad accordarci con una piccolissima casa editrice fiorentina che era molto interessata al libro, ma la Fundación Carpentier di Cuba, che detiene i diritti dell’opera (aspiranti traduttori, ricordate: prima di fare una proposta editoriale informatevi sempre riguardo ai diritti!), non l’ha ritenuta abbastanza prestigiosa per pubblicare un autore come Carpentier.

Insomma, da un lato i “grandi” non lo volevano perché “fuori moda”, dall’altra i piccoli editori venivano scartati perché forse non in grado di pubblicizzarlo al meglio… E così per anni l’abbiamo lasciato nel cassetto, un po’ deluse.

Quando però Lindau, con cui collaboro da diverso tempo, ha inaugurato la collana di narrativa Senza Frontiere, Carpentier mi è sembrato una scelta perfetta e naturale. Il direttore editoriale per fortuna la pensava come me, la Fundación stavolta ha accettato, e così io e Vittoria abbiamo ripreso in mano la traduzione terminata quasi cinque anni prima. Un lavoro gomito a gomito che come al solito mi ha arricchita moltissimo, complicato ma affascinante: ore e ore passate a rivedere, limare, aggiustare, cambiare per poi tornare sui nostri passi, cercare improbabili riferimenti online, decifrare e confrontare.

Il risultato è uscito pochi giorni fa, dopo un’attenta revisione da parte di Paola Quarantelli di Lindau e di Vincenzo Perna, esperto di musica afrocubana (perché sì, nel libro c’è tanta musica, tanto ritmo non solo linguistico), e come potete immaginare ne siamo oltremodo felici. Speriamo che a Carpentier venga finalmente tributato il giusto merito anche per questo romanzo giovanile ma già ricco di fascino.

Morale della favola: non scoraggiatevi mai, una proposta di traduzione rifiutata per anni un giorno potrebbe trovare la sua perfetta collocazione, quella che stava aspettando fin dall’inizio.

Un’ultima cosa: a settembre partirà la nuova edizione del corso online Tradurre per l’editoria. Siccome sono una delle tutor, posso dire di essere molto soddisfatta di come sono andate le edizioni precedenti, e a giudicare dai commenti degli iscritti, che trovate sul sito (e non li abbiamo inseriti noi, giuro!), lo è anche chi vi ha partecipato. Vi invito a consultare il programma se siete alla ricerca di un corso “pratico” ma non potete spostarvi da casa. Questo corso è un altro dei motivi per cui non ho avuto il tempo di aggiornare il blog: è impegnativo e arricchente anche per me.

Spero di riuscire ad aggiornare presto il blog, anche se mi aspetta un’estate di fuoco e niente vacanze. Guardiamo il lato positivo, però: diventare traduttori è possibile, se si ha abbastanza tenacia.

 

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Due anni di blog!

cake_bookOggi questo blog compie due anni. Mi sembravano di più, lo ammetto, eppure il primo post è datato proprio 13 novembre 2012. Forse è perché covavo da molto tempo l’idea di aprirlo, o più probabilmente perché la traduzione editoriale mi accompagna da quando ho finito l’università, anzi, da quando c’ero ancora dentro, da quel corso tenuto da Angelo Morino e Vittoria Martinetto che mi ha fatto capire che cosa volevo diventare “da grande”. In un corso di laurea pieno di esami che mi lasciavano insoddisfatta, se non scoraggiata (“scordatevi di diventare traduttori letterari!”), quelle lezioni sono state per me un faro, una conferma che il mio amore per i libri, per le lingue e per la scrittura poteva trasformarsi in qualcosa di più. Da quel momento in poi ho assorbito come una spugna tutti i consigli che mi sono stati dati, tutte le dritte, le correzioni, le batoste, e ho cercato di condensarle in parte in questo spazio virtuale.

Grazie a questo blog e alla relativa pagina Facebook ho cominciato a collaborare con La Matita Rossa, ho conosciuto altri traduttori e tantissimi aspiranti tali, mi sono resa conto che ciò che do per scontato non è scontato affatto, ho imparato e mi sono chiarita le idee, ho dato e chiesto pareri, mi sono appassionata sempre di più a un mondo affascinante e burrascoso, e soprattutto ho trovato la forza di non arrendermi allo scoramento.

Oggi il blog ha quasi sessantamila visite, 2060 fan su Facebook e 263 follower via e-mail. Un esercito di persone appassionate con un sogno grandissimo, a dimostrazione del fatto che, per quanto bistrattati, i traduttori non sono affatto invisibili. C’è tutto un mondo di persone in grado di riconoscere una buona traduzione, di scandalizzarsi di fronte alle tariffe da fame, di farsi valere, di lottare per fare quello che vogliono veramente, nonostante tutte le difficoltà.

Forse la mia è una visione un po’ troppo romantica: l’editoria oggi è in crisi, i lettori sono in calo, le case editrici falliscono, non pagano, traducono sempre meno, fanno proposte indecenti. Ma almeno oggi lasciatemi sognare un po’, lasciatemi credere che il lavoro culturale un giorno verrà riconosciuto e apprezzato, in termini sia morali sia economici. Perché sognare è bello, ma potersi permettere di vivere del proprio lavoro lo è ancora di più.

Auguri al mio blog e in bocca al lupo a chiunque voglia intraprendere questo meraviglioso mestiere: alla vostra!

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La correttezza paga, e se non paghi sei fuori

In questi giorni sta prendendo forma una campagna nata da Luca Pantarotto di Holden & Company, che prevede di non recensire più libri delle case editrici che notoriamente non pagano i propri collaboratori. I nomi delle suddette girano da parecchio fra gli addetti ai lavori, i quali avvisano i colleghi in modo che questi ultimi non accettino lavori già rifiutati da altri professionisti. Dell’iniziativa si parla diffusamente su diversi blog, vi invito a leggere il post riassuntivo scritto su Holden & Company per saperne di più. Vi consiglio anche il post dedicato all’argomento su Giramenti.

Ovviamente la cosa riguarda da vicino anche i traduttori, categoria debole e spesso bistrattata. Mi fa quindi piacere sostenere e pubblicizzare questa iniziativa, sebbene il mio non sia un blog di recensioni (in realtà un blog letterario ce l’ho, e si chiama Solo libri belli, e ovviamente aderirò anche lì – appena capisco come inserire il banner – perché non è detto che i libri belli siano pubblicati da case editrici virtuose).

Perché “la correttezza paga”? Perché senza scrittori, traduttori, editor, correttori di bozze e lettori una casa editrice non può esistere. E non pagare i propri collaboratori è una pessima mossa, che può far innervosire i lettori più consapevoli.

Lavorando da qualche anno nel campo dell’editoria, sia dall’interno sia dall’esterno, come traduttrice, editor, web manager e così via, so bene come purtroppo i ritardi nei pagamenti in questo mondo siano all’ordine del giorno. Lo confermano le mailing list di traduttori, in cui professionisti ben più famosi e ricercati di me lamentano le stesse problematiche. Si sa, c’è crisi per tutti, questo però non deve rappresentare una giustificazione per far lavorare gratis gente che ha sudato per acquisire una certa professionalità.

State bene attenti quando ricevete una proposta, di qualsiasi tipo essa sia: di recensione se siete blogger, di traduzione se siete traduttori. Fate una ricerca, informatevi per scoprire se la casa editrice in questione è seria e affidabile. Questo gioverà a tutti, e chissà che le case editrici non capiscano che è meglio tagliare gli sprechi inutili piuttosto che non pagare chi se lo merita.

Sono felice che si stia creando una certa attenzione intorno ai problemi di chi lavora nel mondo dell’editoria: troppo spesso ci si sente dire che stare tutto il giorno a scrivere davanti a un computer non è un vero lavoro. È ora di ribadire i nostri diritti, con ogni mezzo.

 

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Tradurre “I Remember” di Joe Brainard

Ammetto che quando mi è stato proposto di tradurre “I Remember” non sapevo chi fosse Joe Brainard, e non avevo nemmeno letto “Je me souviens” di Perec, ispirato proprio da Brainard. Ho ricevuto il testo e sfogliandolo mi sono resa conto di quanto fosse particolare: frasi brevissime, mai più lunghe di dieci righe, in molti casi una o due righe soltanto, e tutte cominciavano con le stesse parole: “Mi ricordo”. A volte basta citare un oggetto, una marca, una canzone, e subito tornano in mente un mondo e un’epoca ormai lontani. Il libro di Joe Brainard funziona proprio così: un’idea apparentemente semplice, ma in realtà carica di potenzialità che qui vengono sfruttate appieno. Come scrive il suo amico Ron Padgett: “ci rendemmo tutti conto che aveva fatto una scoperta meravigliosa, e molti si chiedevano come mai un’idea così ovvia non fosse venuta in mente a loro”.

Ma non si tratta di un semplice elenco di prodotti e personaggi: Brainard entra in prima persona nel suo libro, espone tutta la propria vulnerabilità di artista, di omosessuale, di bambino e poi ragazzo, di studente, di uomo. E così facendo, come scrive Paul Auster nella prefazione, riesce “a trascendere ciò che è puramente privato e personale in un’opera che parla di tutti. È proprio questa la sensazione: parlando di sé, Brainard riesce a coinvolgere il lettore con una spontaneità e un candore davvero eccezionali, facendolo entrare nella propria storia personale e contemporaneamente stimolando i ricordi del lettore stesso.

Per un libro così atipico, la casa editrice voleva un revisore di tutto rispetto. Io ho avuto la fortuna di averne addirittura due, dopo aver buttato giù la prima bozza di traduzione. In un primo momento ho lavorato con Paola Quarantelli, editor di Lindau, e in seguito anche con Susanna Basso, che credo non abbia bisogno di presentazioni. Ecco come abbiamo impostato il lavoro.

Dopo aver tradotto – un po’ di getto, ma facendo le dovute ricerche e cercando di “entrare” già nel testo – le prime cinquanta pagine, ci siamo incontrate tutte e tre in casa editrice per discutere la strategia da seguire avendo già qualcosa in mano. Ebbene, il mio timore reverenziale nei confronti di un testo così importante mi aveva portata a rimanere troppo aderente all’originale, nel tentativo di conservare il più possibile. Ma quello di Brainard è un libro fresco, immediato, evocativo, ed era quindi necessario staccarsi un po’ dal testo di partenza per restituire lo stesso effetto in italiano. Ovviamente questo non poteva avvenire nella prima bozza di traduzione, che deve necessariamente restare vicina al testo di partenza per evitare che i rimaneggiamenti successivi la facciano allontanare davvero troppo dall’originale.

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Tenendo a mente i consigli ricevuti, ho quindi terminato la traduzione e siamo passate alla seconda fase: Paola ha letto e revisionato tutto il libro, e a mano a mano che andavamo avanti ci incontravamo in casa editrice (la sera, dopo il suo orario di lavoro) per limare ogni singola frase. I suoi suggerimenti sono stati davvero preziosi, e mi hanno aiutata a mettermi nei panni di un lettore italiano staccandomi un po’ – anche se a malincuore – dall’inglese.

A metà lavoro, abbiamo inviato la prima tranche a Susanna Basso. Anche in questo caso le sue annotazioni sono state indispensabili: in molti casi, la sua sensibilità linguistica ha arricchito il testo di una immediatezza di cui Brainard, credo, sarebbe stato orgoglioso. Ricevere i suoi consigli, di persona o al telefono, mi ha resa molto più consapevole e attenta: un bell’allenamento per il famoso “orecchio del traduttore”! Il confronto e la possibilità di dialogare sono un’occasione rara e meravigliosa per chiunque faccia questo mestiere.

Abbiamo proceduto nello stesso modo anche per la seconda metà del libro: lunghissime serate passate in casa editrice con Paola – con la quale per fortuna ho trovato un’ottima intesa – a cercare soluzioni, a snellire le frasi, a riflettere e spesso, molto spesso, a ridere parecchio.

Sì, perché “Mi ricordo” è un libro tenero, commovente, ma anche spassoso e arguto, ricco di esperienze più o meno imbarazzanti, di fantasie, di riflessioni e pensieri che prima o poi sono venuti in mente a chiunque. Brainard si mette in gioco senza vanità, e senza risparmiarci davvero nulla: insomma, se vi scandalizzate facilmente state alla larga da questo libro. Ma, tornando alla traduzione, quali sono state le principali difficoltà?

Innanzitutto, sono state necessarie davvero moltissime ricerche. Io non ho vissuto in America negli anni ’40, ’50 e ’60, e di conseguenza ho dovuto colmare questa lacuna informandomi su un’infinità di siti diversi per cogliere tutti i riferimenti. A volte era molto facile capire di che cosa stesse parlando, altre volte le frasi, nella loro brevità e assenza di contesto, rimanevano oscure e mi facevano dannare. Qualche esempio? “I remember box suits.” “I remember «Lavender past» (He has a…)”. Come ogni traduttore sa, senza contesto a volte è davvero molto difficile stabilire di cosa si parli, ma con molta pazienza e unendo tre teste ne siamo venute a capo.

In altri casi era chiaro a che cosa Brainard si riferisse, ma era difficile rendere lo stesso concetto in italiano perché il lettore non avrebbe riconosciuto certi riferimenti immediatamente comprensibili per un americano. A volte abbiamo optato per una breve traduzione didascalica: per esempio, “I remember Bickford’s” è diventato “Mi ricordo i ristoranti Bickford’s”. Altre volte, per evitare lunghe e in fondo inutili spiegazioni, qualcosa è andato perso, e “car coat” è diventato un semplice giaccone. Per quanto riguarda gli abiti, le acconciature e i personaggi dell’epoca nella maggior parte dei casi è stata sufficiente una ricerca accurata, anche se non sempre, dopo aver capito, era semplice trasporli in modo comprensibile per un lettore italiano.

Numerosi erano anche i giochi di parole: incubo di qualsiasi traduttore, quando sono decontestualizzati e assumono tutta l’importanza di una frase singola, isolata, non è possibile tralasciarli o prendere decisioni arbitrarie. Ve ne lascio alcuni giusto per divertirvi a pensarci sopra, e per quanto riguarda le soluzioni che abbiamo adottato… Le troverete nel libro!

I remember «Your shirt tail’s on fire!» and then you yank it out and say «Now it’s out!»”. Ovviamente qui si gioca sul “fire” che può essere “out” come la camicia può essere “out” dai pantaloni… Impossibile a mio parere trovare una soluzione abbastanza fedele, quindi abbiamo optato per un altro scherzo.

I remember a joke about Tom, Dick and Harry that ended up, «Tom’s dick is hairy»”. Qui il gioco di parole “sporco” è evidente, e in questo caso dopo mille riflessioni e dopo aver stressato un po’ chiunque mi è venuto in soccorso un amico, che mi ha suggerito una soluzione a mio avviso davvero perfetta.

I remember «dress up time». (Running around pulling up girls’ dresses yelling «dress up time»).” Qui l’ambiguità di “dress up” era unita alla difficoltà di trovare un’espressione verosimile, che dei bambini potessero davvero urlare rapidamente correndo qua e là per alzare il vestitino alle femmine.

Avete qualche idea per questi giochi di parole? Sono sicura che esistano tantissime soluzioni diverse, anche se sono piuttosto soddisfatta di quelle adottate nel libro.

Tralasciando questi casi particolari, anche le frasi apparentemente più semplici nascondevano delle insidie: Brainard era un artista, e anche sulla carta gli bastava un accenno di pennellata per evocare tutto un insieme di pensieri, emozioni e sensazioni: un aggettivo, l’ordine delle parole, una parentesi potevano dare a una frase brevissima una forza evocativa incredibile e adatta a essere resa solo in una lingua come l’inglese, in cui la sintesi la fa da padrona. In italiano, per ottenere la stessa immediatezza, è stato a volte necessario perdere qualche sfumatura, guadagnando però in ritmo e spontaneità. Inoltre, qualsiasi traduttore sa bene quanto sia complicato scrivere in modo scorrevole, e quanto lavoro di cesello ci sia dietro una frase apparentemente banale.

A traduzione ultimata, ci siamo trovate un’ultima volta tutte e tre in casa editrice, dove abbiamo discusso anche della prefazione di Paul Auster, che ha adorato questo libro. E sentirmi dire che avevo fatto un ottimo lavoro è stata una delle soddisfazioni più grandi della mia carriera, anche se il merito va certamente condiviso.

Tradurre Joe Brainard è stata un’esperienza intensa, diversa, eccezionale. Sono grata a Paola e alla Lindau per avermi dato questa possibilità. E lavorare con Susanna Basso è stato un sogno che si è avverato. Fatemi sapere come avreste risolto i giochi di parole di cui sopra, e se lo leggerete spero che il libro vi piaccia quanto a me è piaciuto tradurlo.

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Scheda del libro sul sito Lindau
Pagina Facebook di Mi ricordo
Compra su Amazon
Compra su ibs

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Corso Tradurre per l’editoria: dall’altra parte della cattedra (virtuale)

10314771_1556409431252554_948702527943379954_nA due settimane dal termine del corso Tradurre per l’editoria, è giunta l’ora di tirare le somme di questa bellissima ed emozionante esperienza.

In passato ho frequentato diversi corsi e seminari sulla traduzione, e sono sempre stata convinta della necessità di imparare da chi svolge realmente questo mestiere. Quando Rossella Monaco, di La Matita Rossa, mi ha proposto di tenere il corso insieme a lei, ho pensato che sarebbe stata un’ottima opportunità per unire le mie esperienze didattiche come insegnante di inglese in una scuola superiore e il mio lavoro da traduttrice editoriale. Insieme abbiamo concordato di dare al corso un taglio il più possibile pratico. Non sapevamo quale sarebbe stato il livello degli iscritti al corso, ma abbiamo comunque scelto di proporre una prova di selezione iniziale perché il livello di conoscenza della lingua permettesse ai corsisti di poter seguire senza difficoltà le indicazioni delle dispense.

Il corso è articolato in 12 lezioni, una alla settimana, ognuna delle quali composta da una dispensa su un particolare argomento, più un esercizio, solitamente di traduzione, ma non solo. Dopodiché, ogni iscritto ha diritto a mezz’ora settimanale (per un totale di 6 ore) di chat a tu per tu con il tutor, per parlare dell’esercizio svolto ed eventualmente per chiarire alcuni aspetti della lezione. Potete trovare il programma del corso sul sito ufficiale, così come le altre informazioni relative a tempistiche e costi, quindi su questo non mi soffermo.

Mi limiterò a dire che scrivere le dispense per me e Rossella è stato un ottimo modo per mettere nero su bianco ciò che abbiamo imparato nei vari corsi e seminari frequentati in precedenza, oltre alle informazioni apprese leggendo le mailing list di traduttori e i siti specializzati. E soprattutto è stata un’occasione per tradurre in metodo ciò che giornalmente ci troviamo ad affrontare nel nostro lavoro di traduttrici per l’editoria. È stato però ancor più interessante confrontarci sugli esercizi svolti, sia con gli iscritti sia tra di noi.

È davvero affascinante scoprire quanti modi diversi ci sono per scrivere una frase. Negli esercizi ho letto scelte di traduzione brillanti, altre un po’ forzate, altre ancora perfettamente accettabili anche se tutte diverse fra loro. Leggere quindici o venti versioni diverse dello stesso brano, se ad alcuni può sembrare noioso, è invece estremamente interessante per chi ama giocare con le infinite possibilità e combinazioni che ci offre la nostra lingua.

I brani selezionati erano molto diversi, di narrativa e di saggistica, e presentavano problemi e dilemmi traduttivi vari. Alcuni iscritti se la cavavano benissimo con certi testi e meno con altri; c’è stato chi ha scoperto con grande sorpresa di preferire la saggistica, chi invece non aspettava altro che il successivo testo di narrativa, o viceversa. Tutto questo ci ha dimostrato ancora una volta che un traduttore, per quanto possa essere un bravo professionista, può essere perfetto per un libro e meno per un altro: è necessario trovare la voce giusta per tradurre ogni testo, ed essere in grado di cambiare questa voce a seconda di quella dell’autore che ci troviamo davanti.

Insomma, il corso ha confermato quanto sia ricco e variegato il mondo della traduzione editoriale. Spesso non esistono una risposta giusta e una sbagliata – a parte gli errori di comprensione o di resa, ovvio – ma solo un amplissimo ventaglio di possibilità traduttive. È difficile trovare e mantenere il registro giusto, risolvere passaggi che in inglese sono brevissimi e in italiano richiederebbero immensi giri di parole per non perdere qualche sfumatura, ma gli iscritti hanno dimostrato una grande consapevolezza. All’inizio il livello era molto vario, c’era chi aveva già studiato lingue e traduzione e chi si avvicinava a questo mondo per la prima volta, chi si gettava a capofitto sugli esercizi e chi aspettava la scadenza imminente per la consegna. A mano a mano che si andava avanti, ognuno notava su quali aspetti doveva lavorare per migliorare la resa. A volte è difficile notare le proprie piccole manie traduttive, se nessuno ce le indica.

Le traduzioni vanno consegnate 24 ore prima dell’incontro in chat con il tutor, incontro che può essere programmato a seconda degli impegni e delle preferenze degli iscritti. È questa la vera forza dei corsi online: la possibilità di un dialogo diretto unita alla comodità di poter scegliere giorni e orari.

Il dialogo è certamente uno strumento preziosissimo, che arricchisce entrambe le parti. Certo, le preferenze personali in traduzione ci sono sempre, ma è importante saperle distinguere dagli errori veri e propri e fare tesoro delle opinioni altrui. Far leggere la propria traduzione o discuterne una insieme è un’esperienza altamente formativa. L’altra persona riuscirà sempre a farci notare cose a cui noi non avevamo fatto caso, e viceversa, ovviamente.

La traduzione richiede estrema attenzione al dettaglio, e se qualcuno ci indica dove guardare è molto più semplice allenarsi a riconoscere certi problemi. Se è vero che non si può propriamente “insegnare a tradurre”, è altrettanto vero che i corsi come questo, a nostro parere, aiutano a crescere e a essere più consapevoli dei propri strumenti. Siamo soddisfatte di questa prima edizione, visto che dai questionari di gradimento dei corsisti i pareri sono stati più che positivi. Ringraziamo dunque tutti gli iscritti. Il corso ripartirà a settembre: le preiscrizioni sono già aperte, vi aspettiamo!

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Tradurre per l’editoria. Corso base.

libroUltimamente i corsi di  traduzione si sono moltiplicati, offrendo ciascuno una formula diversa per andare incontro alle necessità delle moltissime persone che sognano di diventare traduttori.

Come orientarsi in questa giungla? Il mio consiglio è sempre di seguire corsi organizzati da chi svolge già questo mestiere, perché la teoria insegnata da professori universitari e studiosi di linguistica serve solo fino a un certo punto: quello che conta davvero oggi sono le esperienze reali, le testimonianze, la conoscenza del mondo editoriale dall’interno.

All’università ho seguito corsi di traduzione tenuti da professori sicuramente preparatissimi, ma che non avevano mai tradotto una parola al di fuori dell’ambito accademico. Manco a dirlo, più di qualsiasi lezione approfondita sulle teorie di Jakobson, Steiner, Newman o chi per essi, mi sono servite le ore passate a lavorare sui testi in compagnia di traduttori editoriali già affermati, quando ne ho avuta l’occasione.

Per questo, quando mi è stato proposto di tenere parte di un corso di traduzione ho subito pensato che l’esperienza in questo campo vale più di qualsiasi titolo accademico. Certo, una laurea magistrale in traduzione ce l’ho, ma soprattutto negli ultimi anni ho tradotto quasi esclusivamente per l’editoria, sia opere di narrativa sia di saggistica.

Il corso di cui parlo è organizzato dal service editoriale La Matita Rossa, con il cui blog collaboro già da un po’. Si intitola semplicemente Tradurre per l’editoria. Corso base, perché in fondo i giri di parole non sono necessari: l’obiettivo del corso è fornire strumenti e informazioni a chi desidera intraprendere questa strada difficile ma affascinante, da un punto di vista estremamente pratico e realistico. Il corso riguarda la traduzione editoriale dall’inglese e si svolgerà totalmente online, per venire incontro a chi non può spostarsi o ha orari incompatibili con le lezioni in aula: ogni settimana verrà inviata una dispensa su un particolare argomento, con spiegazioni ed esercizi, e poi ogni allievo potrà confrontarsi con il docente in chat, per discutere le strategie traduttive impiegate nell’esercitazione, ricevere consigli e fare domande.

Ecco il programma del corso, che costa 160 euro e comprende, oltre alle 12 lezioni, 6 ore di tutoraggio via chat (mezz’ora alla settimana), correzione degli esercizi da parte dei docenti e approfondimenti con interviste a esperti del settore.

  • TRADURRE NARRATIVA (3 lezioni) 
  • TRADURRE SAGGISTICA (3 lezioni)
  • IL LAVORO REDAZIONALE Editing e correzione di bozze (2 lezioni)
  • SCELTE DI TRADUZIONE (1 lezione)
  • SUPPORTI ALLA TRADUZIONE web, dizionari (1 lezione)
  • TRADURRE PER MESTIERE Aspetti legali e fiscali del lavoro di traduttore (2 lezioni)

Come potete notare, si tratta di un corso base ma che mira a fornire una panoramica di tutto ciò che è assolutamente necessario sapere per diventare traduttori.

L’ammissione al corso è subordinata a una breve prova di traduzione (gratuita). È necessario preiscriversi compilando l’apposito modulo. Sul sito potete anche trovare tutte le informazioni sul corso e sui docenti.

Se avete qualche domanda, sono a vostra disposizione. E ovviamente alla fine del corso aspetto commenti, impressioni e suggerimenti: il confronto con le opinioni altrui è fondamentale per un buon traduttore.

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Anticipazioni

LIBRO IN TRENOSolo un piccolo aggiornamento, anzi due.

Da questa settimana collaboro con il bellissimo blog Libri in Metro, per mettere nero su bianco quello che faccio da sempre, ovvero dare un’occhiata a cosa leggono i miei compagni di viaggio. Il mio primo pezzo uscirà venerdì, ma se non lo conoscete già vi invito a seguire fin da ora il blog, perché è molto carino e merita.

Secondo aggiornamento: come saprete, tra meno di un mese al Lingotto di Torino si terrà il Salone Internazionale del Libro. È un appuntamento da non perdere, sia per il piacere di girare tra migliaia e migliaia di volumi sia per conoscere vecchie e nuove case editrici e, perché no, provare a farsi avanti. È il posto ideale in cui scoprire nuove realtà editoriali, quindi non perdetelo!
A questo link trovate il programma completo. Se venite in treno da fuori Torino, Italo fa uno sconto di 15€ sul prezzo del biglietto di viaggio.

Di particolare interesse per i traduttori sono gli incontri organizzati da L’Autore Invisibile. Li riporto qui sotto, per comodità. Non mancate!

SALONE DEL LIBRO DI TORINO

l’AutoreInvisibile 2013

https://www.facebook.com/AutoreInvisibile

Giovedì 16 maggio

Ore 12 
Il contratto di edizione di traduzione
Intervengono: Elisa Comito (Strade)

Ore 14-16
Prima dopo e nel frattempo: il resto della filiera

L’agente
Rosaria Carpinelli (Consulenze Editoriali)

L’editor di narrativa straniera
Andrea Canobbio (Einaudi)

L’ufficio diritti
Cristina Foschini (GeMS)

L’ufficio stampa
Valentina Fortichiari (Longanesi)

Ore 16

Editoria in transizione: capire i cambiamenti per cogliere le  opportunità di lavoro
Intervengono: Mattia Carratello (Sellerio), Gioia Guerzoni, Anna Mioni (AC²), Roberta Scarabelli (A.I.T.I.)

Ore 17.30

A volte ritornano: nuova edizione riveduta e corretta Franca Cavagnoli

Venerdì 17 maggio

Ore 11

Come si fa una proposta editoriale
Intervengono: Simona Cives (Casa delle Traduzioni, Biblioteche di Roma), Angelo Molica Franco (Del Vecchio), Simona Olivito (E/O), Claudia Tarolo (Marcos y Marcos)

Ore 13.30

Prima dopo e nel frattempo: il resto della filiera

Il commerciale
Pietro Biancardi (Iperborea) e Marco Cassini (minimum fax)

Le librerie
Romano Montroni

Ore 14.30

Traduttore e redattore a confronto
Il re pallido di David Foster Wallace e Cicatrici di Juan José Saer
Intervengono: Giovanna Granato con Alessandra Montrucchio (Einaudi), Gina Maneri con Lorenzo Ribaldi (La Nuova Frontiera)

Ore 16.00

Translating fifty (and more) shades
Intervengono: Alessandra Bazardi (Harlequin), Martina Donati (Newton Compton), Federica Magro (Rizzoli), Joy Terekiev (Mondadori)

 

Sabato 18 maggio

Ore 11

Traduzione e riscrittura nella letteratura per ragazzi Cristina Brambilla (Piemme), Carlo Gallucci (Gallucci), Fiammetta Giorgi (Mondadori Ragazzi), Beatrice Masini (RCS)

Ore 13

Traduttore e redattore a confronto
Versioni di me di Dana Spiotta e Il barone sanguinario di Vladimir Pozner
Intervengono: Francesco Pacifico con Martina Testa (minimum fax), Giuseppe Girimonti Greco e Lorenza Di Lella  con Valeria Perrucci e Ena Marchi (Adelphi)

Ore 14.30

Il Dizionario delle Collocazioni
Paola Tiberii (Zanichelli)

Al termine Lorenzo Enriques annuncerà il nome del vincitore del Premio Zanichelli, Giornate della Traduzione 2013.

Ore 16

A volte ritornano: La signora Dalloway e La via del tabacco
Intervengono: Anna Nadotti (Einaudi), Luca Briasco (Fazi)

 

Domenica 19 maggio

Ore 11

Dizionari e traduzione: il nuovo WOW e l’Analogico
Intervengono: Anna Ravano con Monica Harvey Slowikowska e Donata Feroldi (Zanichelli)

Ore 12

Di cosa parliamo quando parliamo di traduzione Susanna Basso

Ore 14     

Scrittore e traduttore a confronto: Cuore di bestia (Keller)
Intervengono: l’autrice Noëlle Revaz e Maurizia Balmelli

A cura di Ilide Carmignani.

Gli incontri si terranno nella Sala Professionali o nella sala attigua. Per informazioni: www.salonelibro.it

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Solo libri belli

Post brevissimo solo per annunciare che ho aperto un nuovo blog: Solo libri belli.

Non si parla di traduzione ma di buona letteratura (e quindi, indirettamente, anche di traduzione!). Ovviamente questo Diario resterà aperto e continuerò ad aggiornarlo, Solo libri belli è soltanto un progetto parallelo. C’è anche la pagina Facebook, se passate a trovarmi mi farà piacere!

A presto con un nuovo articolo sulla traduzione editoriale :)

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Montale traduttore

Il post di oggi è ospitato, come ogni due venerdì, dal blog del sito La Matita Rossa, di cui vi ho già parlato.

Lo trovate a questo link: si parla di Eugenio Montale come traduttore di poesia, e per scriverlo mi sono ispirata a un seminario che ho seguito tempo fa. Buona lettura!

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La vendetta del traduttore

Come accennavo nell’ultimo post, da questa settimana un venerdì sì e uno no uscirà un mio articolo sul blog del sito La matita rossa, gestito da Rossella Monaco. Si parlerà di traduzione da un punto di vista specialistico e un po’ più tecnico rispetto a questo blog. La rubrica sarà rivolta non solo agli esordienti che vogliono saperne di più su questo mestiere, ma a tutti gli addetti al settore e agli appassionati di traduzione letteraria. A questo link potete trovare il primo articolo, che incollo qui sotto come primo appuntamento con la rubrica “recensioni” di questo blog, visto che si parla appunto di un romanzo. Buona lettura!

Difficile spiegare il mestiere del traduttore letterario. Inizio quindi a parlarvi di traduzione attraverso le parole di un altro traduttore, Brice Matthieussent, il cui romanzo La vendetta del traduttore è stato a sua volta tradotto in italiano da un’altra traduttrice, Elena Loewenthal. E già così, tutto diventa intricato. Ma non finisce qui, perché il romanzo su cui il traduttore, narratore principale, sta lavorando, manco a dirlo parla del rapporto fra un traduttore americano, David Grey, e il “suo” autore francese, Abel Prote, il cui ultimo romanzo è intitolato (N.d.T.) ed è composto interamente da note a piè di pagina, esattamente come il libro di Matthieussent stesso. Vi siete persi? Pure io, all’inizio.

Si tratta di un interminabile gioco di specchi tra autore, testo e traduttore che lascia disorientati e confusi: chi ha scritto cosa? Di chi è la responsabilità degli eventi narrati? Fino a che punto il traduttore può intervenire sul testo e modificarlo a sua discrezione? Il romanzo che il narratore sta traducendo si intitola, per l’appunto, La vendetta del traduttore. E a mano a mano che traduce, il nostro eroe inizia a modificare, tagliare, aggiungere interi paragrafi, insomma ci mette del suo, fino a sostituirsi quasi completamente all’autore. Cosa che un professionista non dovrebbe mai fare, ovvio, ma ammettiamolo, la tentazione è venuta almeno una volta a chiunque abbia provato a fare questo mestiere: quando un romanzo è mediocre, oppure ha del potenziale ma non lo sfrutta, sarebbe tanto bello poterlo purgare, arricchire, migliorare secondo il nostro personalissimo giudizio. Ed è proprio ciò che fa Matthieussent con questo libro: si toglie lo sfizio.

E alla fine il traduttore entra letteralmente nel testo su cui sta lavorando, con grande sconcerto dei protagonisti, e diventa lui stesso un personaggio: si ritrova così traduttore di se stesso, onnisciente perché ha già tradotto le pagine che ora sta vivendo, le conosce a memoria. Un traduttore, infatti, conosce il testo a menadito, perché deve stare attento a ogni sfumatura, scegliere con cautela ogni parola e descrivere ogni oggetto in scena, cose a cui i personaggi non sempre fanno attenzione.

La vendetta del traduttore pone un quesito interessante: fino a che punto è lecito, per un traduttore, intervenire sul testo di partenza? Com’è noto, ogni traduzione presuppone necessariamente uno scarto, una perdita, magari compensata da un arricchimento in un altro punto. Ma non è l’unico problema, né si tratta solo dell’eterna questione delle belle infedeli: il traduttore ha in mano un grande potere, quello di trasmettere il linguaggio e con esso la cultura. L’umiltà è una caratteristica imprescindibile per un traduttore: metterci al servizio del testo fino a diventare invisibili è il nostro mestiere.

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Le traduzioni a più mani

Innanzitutto, in che senso “a più mani”? Ci sono diversi modi in cui più persone possono lavorare a una stessa traduzione. Me ne vengono in mente tre, e finora ne ho sperimentati due.

1) traduzione in coppia
2) traduzione in gruppo
3) traduzione affidata separatamente a più persone

Come si può facilmente immaginare, la terza categoria è quella meno auspicabile (e quella che non ho ancora provato, per mia fortuna). Succede soprattutto con le agenzie, che hanno bisogno di una traduzione molto veloce: in questo caso dividono il libro da tradurre fra più persone, che in molti casi non si conoscono tra di loro, per poi effettuare una revisione dell’opera intera una volta ricevuti tutti gli spezzoni dai vari traduttori. Non esattamente l’ideale, ne convengo, ma vi assicuro che succede. Spesso le case editrici hanno bisogno di pubblicare in tempi brevissimi, e molte (anche insospettabili) affidano le traduzioni alle agenzie letterarie, che poi si regolano come meglio credono. In genere sono anche quelle che pagano meno, oltre a imporre dei ritmi di lavoro insostenibili, quindi è meglio puntare ad altro, se possibile. Quest’ultimo punto vale anche per le traduzioni che affidano a una persona sola, comunque.

Ma veniamo agli altri due tipi di traduzione a più mani, e cominciamo dal primo che mi sono trovata ad affrontare, ovvero la traduzione in coppia.
Nel mio caso si trattava anche della mia primissima traduzione, e il fatto che l’altra metà della coppia fosse la mia relatrice, già esperta, non poteva che aiutarmi. Abbiamo proceduto così: io traducevo capitolo per capitolo, rileggevo la mia traduzione, gliela passavo, lei la correggeva e poi la rivedevamo insieme, decidendo, se necessario, come cambiare ciascuna frase, parola, virgola. Dopodiché io riportavo tutte le modifiche sul documento e rileggevo un’ultima volta. Siamo andate avanti così fino alla fine del romanzo (ed era piuttosto lungo), poi abbiamo riletto la traduzione completa e l’abbiamo mandata alla casa editrice in attesa di ricevere le bozze, da rileggere un’ultima volta. Come potete notare, è stato un lavoro piuttosto lungo e impegnativo. Inoltre, spiegata così sembra che io abbia fatto gran parte del lavoro, ma non è assolutamente vero: le sue correzioni, sempre puntuali, precise e ineccepibili, mi sono state davvero utilissime. Credo sia stata l’esperienza che mi ha aiutata di più nella mia carriera, e auguro a tutti di poterne vivere una simile. Avere l’opinione di un’altra persona, quando si è esordienti ma anche quando si è già esperti, è molto importante: spesso lavoriamo così a lungo su un testo che ci “esce dalle orecchie”, e non vediamo più gli errori di interpretazione, i calchi, i refusi o anche solo le frasi poco scorrevoli, che avrebbero bisogno di una limatina. Insomma, la traduzione in coppia, vista da questa prospettiva, è davvero l’ideale.

Diverso, ma altrettanto interessante, è il caso della traduzione di gruppo.
Ho affrontato questo lavoro nell’ambito di una scuola di specializzazione, quindi con persone che in gran parte non avevano esperienze precedenti, ma accomunate da un profondo interesse per la lingua e la traduzione. È stato massacrante e intenso, frustrante e utilissimo. Perché? È presto detto. Dovevamo tradurre un romanzo con la classica divisione in capitoli. Ciascuno di noi (eravamo in quattordici) ne ha tradotta una parte, che è stata corretta dall’insegnante. Dopodiché ci siamo divisi in gruppi da quattro persone (uno era da sei, per arrivare a quattordici) e ognuno ha rivisto la traduzione degli altri componenti del gruppo, per poi discuterne tutti insieme e ottenere tre “blocchi” di testo già coerenti e rivisti da più persone. Nell’ultima fase, abbiamo dovuto ricucire insieme tutti i blocchi, per produrre un testo scorrevole, non solo senza incongruenze ma con una certa uniformità di stile. È stato difficilissimo, perché ogni testa lavora in modo diverso, e ovviamente metterne insieme quattordici ha prodotto una serie di discussioni che sembravano destinate a non finire mai. Qualcuno ha dovuto cedere su qualcosa, guadagnando magari una piccola vittoria in un altro punto, abbiamo litigato per ore e ore sulla posizione delle virgole e sulla scelta degli aggettivi, ed è stata un’esperienza terribilmente stancante ma molto, molto utile.
Vedere il proprio testo corretto da tredici (anzi, quattordici, con l’insegnante) persone diverse ci regala una prospettiva unica nel suo genere: è una cosa che non capita spesso, e mette a dura prova la nostra autostima. Allo stesso tempo, però, confrontarsi con gli altri ci fa acquistare una consapevolezza che altrimenti difficilmente otterremmo: ognuno si rende conto delle proprie idiosincrasie, delle proprie fissazioni e dei propri punti di forza e debolezza. Si tratta di un esercizio benefico anche dal punto di vista umano: si impara a esporre le proprie idee e a sostenere le proprie convinzioni, ma anche ad ammettere che, a volte, le soluzioni proposte da altri possono essere migliori delle nostre.
L’umiltà è una delle doti che non dovrebbero mai mancare a un traduttore: perciò, se qualcuno trova una frase più azzeccata della nostra, chapeau: ci rifaremo la prossima volta.

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