Archivi del mese: febbraio 2013

Due brevissimi aggiornamenti

Ho creato la pagina “Recensioni“. Vi inserirò recensioni di saggi e romanzi che parlano di traduzione o di traduttori, oltre a qualche commento su libri che secondo me meritano di essere letti, vuoi perché lo stile dell’autore è interessante, vuoi perché mi sono semplicemente piaciuti parecchio. Essere traduttori vuol dire prima di tutto essere lettori. Non mi metterò a recensire ogni libro che leggo, ma solo quelli che ritengo ben scritti o ben tradotti.

Inoltre, da venerdì terrò una piccola rubrica bisettimanale come ospite su un altro blog che poi vi linkerò. L’argomento sarà sempre il tradurre, ma da un punto di vista più “professionale”, insomma, non darò consigli su come iniziare ma parlerò della traduzione in maniera più specifica. Alcuni articoli li riporterò anche qui, altri li scriverò appositamente per l’altro blog, a seconda dell’argomento del giorno. Ne sono molto felice e onorata, a tempo debito vi svelerò tutto.

A presto con i prossimi articoli!

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Tradurre pessimi libri

Ammettiamolo, le librerie sono piene di romanzi-spazzatura, dati in pasto al grande pubblico con il preciso intento di risultare scorrevoli e intriganti. Non capita molto spesso di vedersi assegnata la traduzione di un romanzo degno, è più facile ritrovarsi alle prese con un autore che fino a ieri faceva il giornalaio (nulla contro i giornalai, per carità, è solo un esempio) o che cavalca l’onda del successo di un genere in particolare: giallo, erotico, libri maledetti, profumi in cucina e così via.

Come avevo già accennato tempo fa, oggi parleremo di un argomento piuttosto delicato: gli “autori per caso”. Nei loro libri si ritrova spesso uno stile ingenuo e piuttosto povero, tipico di chi non padroneggia l’arte di scrivere. Magari il lettore non se ne accorge neppure e li trova scorrevoli e appassionanti, ma la vera scorrevolezza non è facile da raggiungere né tantomeno da riprodurre, perché solitamente ci si accorge che la presunta fluidità nasconde un fraseggiare impacciato e ridondante. Un traduttore si accorge se un libro è scritto male molto più facilmente di un semplice lettore. Del resto lo diceva già Gesualdo Bufalino nel suo Il malpensante (1987):

“Il traduttore è con evidenza l’unico autentico lettore di un testo. Certo più d’ogni critico, forse più dello stesso autore. Poiché d’un testo il critico è solamente il corteggiatore volante, l’autore il padre e marito, mentre il traduttore è l’amante.”

Non ho certo le competenze né l’arroganza necessarie per mettermi a criticare lo stile di chicchessia, ma traducendo – e leggendo molto – ci si accorge subito se la scrittura di un certo autore è raffazzonata, poco elegante, goffa. Che fare quando ci si trova di fronte a un testo scritto male nella lingua di partenza?

Ovviamente, non sta al traduttore abbellire e migliorare un libro. Che ci piaccia o no, l’autore è un altro, e noi siamo al suo servizio. Non possiamo dunque aggiustare le frasi a nostro piacimento, anche se talvolta un intervento, anche minimo, si rende proprio necessario. A me è capitato di tradurre un autore che non era esattamente un fine cesellatore del linguaggio: il suo periodare era banale, ripetitivo, con immagini poco efficaci buttate lì come grandi colpi di scena (per non parlare di incongruenze e inesattezze). Ho cercato allora di rendere il testo in un italiano corretto, ma ovviamente il risultato finale rispecchiava il testo di partenza, che non era un granché. A quel punto la palla passa alla redazione, che può permettersi interventi un po’ più sostanziali: il traduttore, invece, deve rimanere fedele all’originale. Certo, la tentazione di limare qua e là viene sempre, e certi autori fanno proprio scappare la pazienza. Più volte sono stata lì lì per eliminare l’ennesima frase orribile, ma non sempre ci si può prendere delle libertà così grosse.

Inoltre, un testo scritto male è molto più difficile da affrontare rispetto a uno dallo stile impeccabile: se l’autore sa quel che fa, è facile farsi prendere per mano e seguirlo con cieca fiducia. Invece, se ci troviamo di fronte a un testo zoppicante, dobbiamo stare sempre all’erta, attenti a ogni errore e ripetizione, a ogni frase labirintica o priva di senso. Quanto spesso i personaggi di un libro si alzano dalla sedia due volte nella stessa pagina, senza essersi mai riseduti, e quanto è facile che gli oggetti in scena si spostino senza motivo apparente…

Tradurre un autore mediocre può rivelarsi frustrante, e il timore che la scarsa qualità del testo in italiano sia imputata al traduttore è sempre in agguato, ma un buon editor si renderà conto che vi siete limitati a rispettare l’originale, soprattutto se allegate alla traduzione una breve nota esplicativa. Ogni cambiamento va comunicato alla redazione della casa editrice, anche per segnalare incongruenze ed errori evidenti.

Non possiamo dunque permetterci di migliorare il testo (e chi siamo per farlo?), possiamo però tentare almeno di renderlo in un italiano corretto e fluido – a meno che l’intenzione dell’autore non fosse tutt’altra, ma qui si parla di scrittori che non si rendono conto di scrivere male. Solo in letteratura possiamo sognare di mettere mano, anzi, di manomettere il testo originale: ne è un esempio il meta-romanzo di Brice Matthieussent La vendetta del traduttore, tradotto da Elena Loewenthal.

In sostanza, non c’è un modo univoco di affrontare un testo mediocre: possiamo solo negoziare di caso in caso, di frase in frase, come ogni traduttore è sempre condannato a fare.

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L’influenza del testo originale sulle traduzioni

Partendo dal concetto di interlingua espresso nell’ultimo post, e prendendo spunto dalla trasmissione “La lingua batte”, che sabato scorso ha intervistato Ilide Carmignani, oggi parliamo del famoso traduttese. Ma non solo, perché, come vedremo, esiste anche il tradiano. Ebbene sì, un’incauta traduzione può incorrere in tranelli diversi e diametralmente opposti.

Per traduttese si intende quel linguaggio che si prende troppe libertà traduttive, che fa della scorrevolezza il proprio cavallo di battaglia a tutti i costi, anche a scapito della precisione e del rispetto del testo originale. Ogni scrittore ha un suo stile, a volte ostico, a volte fluido, a volte personalissimo e indefinibile. La traduzione deve rispettare le particolarità della scrittura senza appiattirle né scioglierle per renderle più facili da leggere: la sensazione evocata nel lettore dal testo originale dev’essere – nei limiti del possibile, e con tutte le inevitabili perdite – la stessa che suscita il testo tradotto. Non bisogna servire al lettore la pappa pronta, fornendogli una traduzione senza personalità. Oltretutto questo significherebbe sottovalutare la sua capacità di comprendere e apprezzare le particolarità stilistiche di un determinato autore. A volte le letterature straniere possono apportare impulsi vitali e aprire la mente, impedendo alla lingua di fossilizzarsi e ai libri di diventare solo una sbiadita imitazione dell’originale, da cui viene eliminata ogni traccia di colore.

Al contrario, il tradiano è la tendenza a rimanere troppo aderenti al testo originale, riempiendo la traduzione di calchi semantici e sintattici, dando vita a un italiano meticcio e artificiale. Questo è particolarmente evidente nelle traduzioni dall’inglese (perché occupano un’enorme fetta di mercato, ovvio), soprattutto nei romanzi di intrattenimento e nei best seller, che vengono tradotti e pubblicati alla velocità della luce. Le scadenze imminenti non aiutano certo a prendersi il tempo di cercare una soluzione più naturale in italiano. Un esempio di tradiano, sottolineava Ilide Carmignani durante la trasmissione, sono i vari “fottuto” e “dannazione” che coloriscono sempre più spesso il linguaggio di libri e film tradotti dall’americano, e che ormai fanno parte di una lingua considerata comune e naturale anche in italiano. In effetti, non di rado vengono utilizzati dagli autori contemporanei che scrivono nella nostra lingua ma che si sono formati su romanzi tradotti troppo letteralmente e su film doppiati male.
A proposito di film, vi consiglio un divertente filmato dell’AIDAC sull’influenza del doppiaggio nella lingua quotidiana. Quanti calchi dall’inglese (americano) riuscite a trovare?

Non è difficile arguire che sia il traduttese sia il tradiano hanno potenzialmente conseguenze pesanti sull’uso della lingua da parte degli italiani stessi: in fondo gran parte dei libri che leggiamo e dei film che guardiamo sono tradotti, principalmente dall’inglese. Come difendersi? Lo ripeto ancora una volta: leggendo molta letteratura italiana. Non solo i giovani autori, che sicuramente hanno un peso nella diffusione e nello sviluppo della nostra lingua, ma anche e soprattutto i classici: Manzoni, Alfieri, Boccaccio, Pirandello, Svevo, Calvino… Ce n’è per tutti i gusti.

L’italiano è una lingua meravigliosa che va preservata, senza privarla dell’opportunità di arricchirsi ma senza neppure renderla schiava.

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