Archivi del mese: novembre 2012

Cosa non accettare mai / 2: si può tradurre verso una lingua straniera?

Mi sono resa conto di aver dimenticato una tipologia di contratto da non accettare assolutamente, se volete presentarvi come professionisti. Forse l’ho scordato perché mi pare totalmente assurdo che qualche editore lo voglia proporre, eppure so che a volte succede.

Sto parlando dei contratti che prevedono la traduzione verso una lingua straniera.

La traduzione è un’arte talmente complessa e delicata che già è difficile fare un buon lavoro traducendo verso la propria madrelingua, figuriamoci verso una lingua straniera! Anche se avete studiato per anni e anni, anche se vivete all’estero e vi sentite a vostro agio parlando l’altra lingua, ricordate che accettare un contratto di questo tipo non è professionale e non gioverà al vostro curriculum. Diverso è il caso dei perfetti bilingui, che sono cresciuti parlando due lingue allo stesso identico livello: è l’unico caso in cui è accettabile tradurre verso due lingue diverse. Per tutti gli altri, a meno che non abbiate vissuto per più di venti-trent’anni nel paese in cui si parla quella lingua, è consigliabile non accettare questo tipo di offerte.

Perché? Semplice: se impariamo una lingua straniera da adulti, a scuola, all’università oppure in loco, non riusciremo mai a cogliere tutte le sfumature che un parlante nativo conosce istintivamente. Possiamo capirne gran parte, e magari saperle riconoscere in un discorso, ma altra cosa è doverle riprodurre creandole a partire da zero, o meglio, da un testo in un’altra lingua. Certe espressioni possono venire in mente in modo spontaneo soltanto a chi parla una data lingua dall’infanzia. Per quanto la nostra sensibilità linguistica sia spiccata, non potremo mai fare un lavoro buono come quello di un madrelingua, e il testo sarà magari grammaticalmente corretto, ma “artificiale”, poco fluido.

Certo, se un amico vi chiede di tradurgli una e-mail o comunque un testo che non verrà pubblicato non c’è motivo di rifiutare, ma per lavoro bisognerebbe lavorare sempre e solo verso la propria lingua madre, soprattutto quando si parla di letteratura: è un’accortezza che dobbiamo a noi stessi e all’autore, che merita di vedere il proprio lavoro trattato in modo professionale. Questo lo sanno bene anche gli editori, e in genere un contratto per tradurre verso una lingua straniera è indice di poca serietà anche da parte loro.

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Cosa non accettare mai

Questo post è in parte ispirato all’intervento di Sandra Biondo (STradE) alle Giornate della Traduzione Letteraria di Urbino. La ringrazio per la sua interessantissima lezione e vi invito a visitare il sito del sindacato traduttori editoriali STradE e a procurarvi il Vademecum legale e fiscale da loro stilato.

 

Il mestiere del traduttore, si sa, è spesso sottovalutato. Può quindi capitare di ricevere “proposte indecenti” fra le quali è bene sapersi destreggiare. Non fatevi prendere dall’emozione di aver avuto finalmente il contatto tanto sperato con una casa editrice: per il bene di tutta la categoria, ci sono alcune condizioni da non accettare mai. Vediamo quali.

 

  • Pagamento alla pubblicazione (o, peggio ancora, al raggiungimento di un certo numero di copie vendute): il mercato editoriale cambia di continuo, e non è detto che un libro acquistato oggi venga poi effettivamente pubblicato domani. Il pagamento alla pubblicazione è dunque molto pericoloso: il compenso che vi spetta potrebbe non arrivare mai, oppure arrivare dopo anni e anni. Non è certo una situazione desiderabile. Nel contratto dovrebbe essere specificato il termine entro il quale il libro dovrà uscire in libreria, ma non fidatevi di questa clausola e pretendete il pagamento alla consegna del vostro lavoro.

 

  • Pagamento a royalties: è una pratica propria soprattutto dei piccoli editori, che non hanno grandi speranze di vendita. In pratica, offrono al traduttore una percentuale sulle copie vendute anziché pagare il lavoro a cartella. A meno che non traduciate un best-seller, è molto difficile ottenere in questo modo un guadagno anche solo decente. Supponiamo un prezzo di vendita di 15€ per un libro di media lunghezza, diciamo duecento cartelle, per comodità di calcolo. In questo caso, anche se la percentuale offerta fosse un generosissimo 10% (cosa che non avviene praticamente mai, in genere si ferma al 5%), ovvero 1,50€ a volume, l’editore dovrebbe riuscire a vendere come minimo duemila copie per consentirvi un guadagno soddisfacente. Facile per un grosso editore, più improbabile per gli editori più piccoli, e infatti sono proprio questi ultimi a proporre questo genere di contratti: investono poco e pretendono di condividere con voi il rischio della pubblicazione. Ovviamente non tutti i piccoli editori si comportano così, ma state bene attenti a queste proposte: state offrendo un lavoro completo e professionale, non spetta a voi assumervi i rischi editoriali.
    Se le royalties fossero in aggiunta a un compenso di per sé dignitoso, ovviamente, il discorso cambierebbe, anzi, è auspicabile che ciò avvenga: spesso a decretare il successo di un libro o di un autore è anche la traduzione, e sarebbe sacrosanto riconoscere il merito del traduttore. Il sindacato STradE si sta impegnando anche in questo senso.

 

  • Corsi a pagamento “propedeutici” a un possibile contratto: sulle mailing list di traduttori, come quella di Biblit, ogni tanto qualche aspirante traduttore chiede consiglio riguardo a offerte di questo tipo. In rete si trova una vera e propria inondazione di annunci di una casa editrice che propone un contratto di traduzione letteraria legato alla partecipazione a un corso, ovviamente a pagamento, organizzato dalla casa editrice stessa.
    Dell’ormai famoso caso Faligi si è parlato approfonditamente su No Peanuts for Translators (qui  e qui), ma se siete di fretta potete trovare un riassunto su questo blog). Mi limito ad aggiungere che purtroppo molti ci cascano sperando che questa offerta possa essere un trampolino di lancio, ma le occasioni sono ben altre: dover pagare per lavorare è assurdo e non porta a nulla. Inoltre, a parte il fatto che non è detto che il contratto arrivi, questo prevede un pagamento a sole royalties: vedi sopra.

 

  • Tariffe indecenti: vi rimando al mio post sulle tariffe, che probabilmente approfondirò in seguito. Per ora aggiungo solo che accettare tariffe infime fa male alla professione: finché ci sarà qualcuno che si presenta come professionista e lavora a poco, perché gli editori dovrebbero voler pagare di più? Mi rendo perfettamente conto che se una proposta non la accettiamo noi ci sarà sempre qualcun altro disposto ad accettarla, e che, almeno all’inizio, l’idea di accumulare un po’ di traduzioni sia piuttosto allettante. Parlo di un mondo ideale, in cui è possibile rimanere fedeli ai propri princìpi: so che non sempre è possibile, purtroppo.

 

  • Contratti in cui non vengono specificati i nostri diritti: in un contratto deve sempre essere indicato il termine entro cui si verrà pagati (solitamente 60 giorni dalla consegna), la tariffa a cartella, più il dettaglio di quali diritti stiamo cedendo con la nostra traduzione (formato cartaceo, elettronico, diritti cinematografici, eventuali adattamenti per edizioni ridotte…), e per quanto tempo (in genere vent’anni, anche se talvolta è possibile negoziare). Queste informazioni ci devono essere, e se non le vedete chiedete che vengano inserite.

 

Spesso, la “scusa” per accettare questo tipo di contratti è che in questo modo si fa curriculum: niente di più sbagliato! In un curriculum non è importante solo la quantità, ma anche e soprattutto la qualità. Nell’ambiente si sa quali editori sono seri e quali no, e aver pubblicato una o più traduzioni con una casa editrice a pagamento non è certo un segno di professionalità. State bene attenti a cosa vi propongono, non lasciatevi trascinare dall’entusiasmo e ricordate che un contratto di traduzione in perfetta regola non è un favore che gli editori ci fanno, è un nostro diritto.

 

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Come fare una proposta editoriale

Uno dei modi per far notare il proprio cv tra le centinaia di e-mail che le case editrici ricevono ogni giorno è allegarvi una proposta editoriale ben studiata. Oggi, infatti, sempre più case editrici ricercano traduttori che non si limitino a tradurre ma che si trasformino in veri e propri scout letterari.

Come procedere?

Innanzitutto dobbiamo trovare un testo da tradurre: un libro che abbiamo letto in lingua straniera e che non sia ancora stato tradotto in italiano.  Ovviamente, dev’essere un testo che ci è piaciuto molto: è difficile convincere qualcuno a comprare qualcosa che non apprezziamo noi per primi.

Per sapere se un libro è già stato tradotto, si può cercare la bibliografia dell’autore nel catalogo nazionale delle biblioteche italiane. Se il libro è già stato pubblicato, verosimilmente lì lo troveremo. Tuttavia, se un libro non è presente, soprattutto se è uscito da poco, non è detto che qualche casa editrice non l’abbia già comprato e dato in traduzione.
Se il libro non è presente sul catalogo, l’unico modo per essere sicuri che i diritti del libro siano ancora liberi è scrivere o telefonare alla casa editrice del testo in lingua originale. Cercate la sezione “foreign rights” sul loro sito e contattate chi si occupa dei diritti. Può capitare che la casa editrice vi rimandi a un’agenzia letteraria che amministra i diritti di quel libro o dell’intera produzione dell’autore: vi basterà mandare una e-mail per informarvi. Presentatevi, elogiate il libro scelto e chiedete se i diritti sono ancora liberi per l’Italia: se non lo sono, potete provare a chiedere a chi li hanno venduti e proporvi alla casa editrice italiana per sapere se hanno già scelto un traduttore, ma è quasi certo che la risposta sia sì.

Se i diritti sono liberi, potete portare avanti il vostro progetto. A volte è la stessa casa editrice straniera a suggerirvi come procedere, per esempio nel caso in cui si “agganci” a una agenzia letteraria o a una particolare casa editrice italiana (anche se, in quest’ultimo caso, è probabile che abbiano già provato loro a proporre il testo per la traduzione, con scarsi risultati).
Se la casa editrice straniera vi comunica semplicemente che i diritti sono liberi, tocca a voi rimboccarvi le maniche e proporre il libro agli editori italiani. Prima di tutto dovete stabilire che tipo di testo è: un giallo? Un fantasy? Un romanzo rosa? Un saggio sull’architettura? Un noir?
Occorre conoscere molto bene le linee editoriali delle varie case editrici italiane, per proporre il libro a quella giusta: se suggerite un testo che sarebbe perfetto in una determinata collana è più facile che vi prendano in considerazione. Non proponete un thriller a chi pubblica prevalentemente libri di cucina: sarebbe tutta fatica sprecata.

Quando avete deciso a chi volete proporre il libro, preparate la proposta. Occorre stilare una scheda di lettura approfondita in cui indicare l’autore, la casa editrice, il numero di pagine, la trama del libro e soprattutto le vostre opinioni personali, mettendo bene in evidenza il motivo per cui secondo voi quel testo merita di essere pubblicato. Non siate troppo prolissi, ma non buttate giù solo tre righe: una pagina e mezza-due potrebbero andare bene.

Oltre alla scheda, allegate la traduzione di un paio di capitoli (meglio se i primi) del libro, insieme al testo originale: in questo modo l’editor si farà un’idea concreta dello stile dell’autore e della pubblicabilità del testo. Ovviamente, dovete fare del vostro meglio con la traduzione: è la “vetrina” del libro che state presentando, e dovete dimostrare di essere in grado di rendere il testo straniero alla perfezione. Attenti a refusi, sviste ed errori veri e propri: non si fa certo bella impressione presentando un testo magari anche ben tradotto, ma che appare poco curato.

Tra parentesi, occhio agli errori anche nella e-mail a cui allegherete scheda e traduzione. Penso che qualunque editore, se riceve una proposta di traduzione contenente un po’ scritto con l’accento invece che con l’apostrofo, la cancelli immediatamente: e – perdonate lo snobismo – fa bene! Si narra addirittura di gente che ha ripetutamente sbagliato il nome dell’autore nella propria e-mail di presentazione: state molto attenti.

A questo punto, a chi mandare il nostro malloppo? L’ideale sarebbe procurarsi il recapito dell’editor che gestisce quella particolare collana, oppure, nel caso di editori più piccoli, di chi si occupa di acquisire i testi stranieri. Provate a telefonare alle case editrici e a chiedere un indirizzo mail a cui inviare la proposta, avrete sicuramente più possibilità che la legga qualcuno che possa valutarla correttamente, rispetto a quelle che avreste scrivendo ai soliti info@….it. Non è affatto vietato mandare la proposta a più editori contemporaneamente, basta che siano scelti con attenzione.

Ricapitolando, dopo essersi accertati che i diritti del libro siano liberi in Italia, traducete qualche capitolo a titolo esemplificativo (non più di una ventina di pagine) e allegate gli stessi capitoli in lingua originale, poi aggiungete una scheda di traduzione e inviate il tutto con una e-mail di presentazione in cui spiegate in breve chi siete e perché vorreste che quel testo fosse pubblicato. Non dimenticate di specificare che vi siete già informati riguardo ai diritti: questo dimostra perlomeno una minima conoscenza delle dinamiche editoriali.

Una volta inviata la proposta, non vi resta che aspettare: in bocca al lupo!

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Le traduzioni a più mani

Innanzitutto, in che senso “a più mani”? Ci sono diversi modi in cui più persone possono lavorare a una stessa traduzione. Me ne vengono in mente tre, e finora ne ho sperimentati due.

1) traduzione in coppia
2) traduzione in gruppo
3) traduzione affidata separatamente a più persone

Come si può facilmente immaginare, la terza categoria è quella meno auspicabile (e quella che non ho ancora provato, per mia fortuna). Succede soprattutto con le agenzie, che hanno bisogno di una traduzione molto veloce: in questo caso dividono il libro da tradurre fra più persone, che in molti casi non si conoscono tra di loro, per poi effettuare una revisione dell’opera intera una volta ricevuti tutti gli spezzoni dai vari traduttori. Non esattamente l’ideale, ne convengo, ma vi assicuro che succede. Spesso le case editrici hanno bisogno di pubblicare in tempi brevissimi, e molte (anche insospettabili) affidano le traduzioni alle agenzie letterarie, che poi si regolano come meglio credono. In genere sono anche quelle che pagano meno, oltre a imporre dei ritmi di lavoro insostenibili, quindi è meglio puntare ad altro, se possibile. Quest’ultimo punto vale anche per le traduzioni che affidano a una persona sola, comunque.

Ma veniamo agli altri due tipi di traduzione a più mani, e cominciamo dal primo che mi sono trovata ad affrontare, ovvero la traduzione in coppia.
Nel mio caso si trattava anche della mia primissima traduzione, e il fatto che l’altra metà della coppia fosse la mia relatrice, già esperta, non poteva che aiutarmi. Abbiamo proceduto così: io traducevo capitolo per capitolo, rileggevo la mia traduzione, gliela passavo, lei la correggeva e poi la rivedevamo insieme, decidendo, se necessario, come cambiare ciascuna frase, parola, virgola. Dopodiché io riportavo tutte le modifiche sul documento e rileggevo un’ultima volta. Siamo andate avanti così fino alla fine del romanzo (ed era piuttosto lungo), poi abbiamo riletto la traduzione completa e l’abbiamo mandata alla casa editrice in attesa di ricevere le bozze, da rileggere un’ultima volta. Come potete notare, è stato un lavoro piuttosto lungo e impegnativo. Inoltre, spiegata così sembra che io abbia fatto gran parte del lavoro, ma non è assolutamente vero: le sue correzioni, sempre puntuali, precise e ineccepibili, mi sono state davvero utilissime. Credo sia stata l’esperienza che mi ha aiutata di più nella mia carriera, e auguro a tutti di poterne vivere una simile. Avere l’opinione di un’altra persona, quando si è esordienti ma anche quando si è già esperti, è molto importante: spesso lavoriamo così a lungo su un testo che ci “esce dalle orecchie”, e non vediamo più gli errori di interpretazione, i calchi, i refusi o anche solo le frasi poco scorrevoli, che avrebbero bisogno di una limatina. Insomma, la traduzione in coppia, vista da questa prospettiva, è davvero l’ideale.

Diverso, ma altrettanto interessante, è il caso della traduzione di gruppo.
Ho affrontato questo lavoro nell’ambito di una scuola di specializzazione, quindi con persone che in gran parte non avevano esperienze precedenti, ma accomunate da un profondo interesse per la lingua e la traduzione. È stato massacrante e intenso, frustrante e utilissimo. Perché? È presto detto. Dovevamo tradurre un romanzo con la classica divisione in capitoli. Ciascuno di noi (eravamo in quattordici) ne ha tradotta una parte, che è stata corretta dall’insegnante. Dopodiché ci siamo divisi in gruppi da quattro persone (uno era da sei, per arrivare a quattordici) e ognuno ha rivisto la traduzione degli altri componenti del gruppo, per poi discuterne tutti insieme e ottenere tre “blocchi” di testo già coerenti e rivisti da più persone. Nell’ultima fase, abbiamo dovuto ricucire insieme tutti i blocchi, per produrre un testo scorrevole, non solo senza incongruenze ma con una certa uniformità di stile. È stato difficilissimo, perché ogni testa lavora in modo diverso, e ovviamente metterne insieme quattordici ha prodotto una serie di discussioni che sembravano destinate a non finire mai. Qualcuno ha dovuto cedere su qualcosa, guadagnando magari una piccola vittoria in un altro punto, abbiamo litigato per ore e ore sulla posizione delle virgole e sulla scelta degli aggettivi, ed è stata un’esperienza terribilmente stancante ma molto, molto utile.
Vedere il proprio testo corretto da tredici (anzi, quattordici, con l’insegnante) persone diverse ci regala una prospettiva unica nel suo genere: è una cosa che non capita spesso, e mette a dura prova la nostra autostima. Allo stesso tempo, però, confrontarsi con gli altri ci fa acquistare una consapevolezza che altrimenti difficilmente otterremmo: ognuno si rende conto delle proprie idiosincrasie, delle proprie fissazioni e dei propri punti di forza e debolezza. Si tratta di un esercizio benefico anche dal punto di vista umano: si impara a esporre le proprie idee e a sostenere le proprie convinzioni, ma anche ad ammettere che, a volte, le soluzioni proposte da altri possono essere migliori delle nostre.
L’umiltà è una delle doti che non dovrebbero mai mancare a un traduttore: perciò, se qualcuno trova una frase più azzeccata della nostra, chapeau: ci rifaremo la prossima volta.

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E adesso parliamo di soldi

Scrivo questo post sull’onda della rabbia e dell’amarezza per un pagamento che tarda ad arrivare, quindi perdonate il tono astioso, ma qui si racconta della vita vera di una traduttrice esordiente, quindi non avrò peli sulla lingua.

Una piccola introduzione che forse vi interesserà più delle mie beghe personali: quanto guadagna un traduttore letterario?
Dipende da molti fattori. Innanzitutto, dalla casa editrice che ci dà il lavoro. Le più grandi e serie non scendono sotto i 15 euro a cartella (per cartella editoriale si intendono 2000 battute spazi inclusi), per arrivare anche a 20 o addirittura 25 euro nel rarissimo caso dei traduttori più quotati.
La maggior parte delle case editrici, però, non può permettersi certe cifre, e quindi la media è sui 12 euro a cartella. Diciamo che se si traduce direttamente per una casa editrice si arriva a prendere tra i 10 (pochissimo) e i 16 (piuttosto buono) euro a cartella. Dipende però anche dalla lingua da cui si traduce (fondamentale: si traduce sempre e solo verso la propria lingua madre): se traducete dal cinese o dal danese guadagnerete probabilmente più di chi traduce dall’inglese. D’altra parte, si traducono molti più libri dall’inglese che dal danese, quindi fate voi i conti.

Se invece di ricevere il lavoro direttamente da una casa editrice lo ricevete attraverso un’agenzia letteraria o simili, le tariffe si abbassano drasticamente, fino a scendere sotto i 6 euro a cartella o anche meno. L’ideale sarebbe non accettare certe proposte, però mi rendo conto che sia difficile resistere alla tentazione di vedere una nostra traduzione pubblicata. Parleremo anche di questo.

Ma ora veniamo a uno sfogo personale che però non è così raro come si potrebbe pensare: i pagamenti in ritardo. Quando si firma un contratto di traduzione, deve esservi riportata la data entro la quale si verrà pagati per il proprio lavoro: solitamente sono 60 giorni dalla consegna, ma possono anche essere 30, 90, 120… l’importante è che sia specificato chiaramente. Peccato che questo termine non venga sempre rispettato: che fare allora? Per quanto mi riguarda, ho mandato a intervalli regolari delle e-mail sempre più irritate, ricevendo mezze rassicurazioni, e oggi finalmente mi hanno confermato che mi pagheranno entro fine mese (per un romanzo consegnato a fine luglio). Ed è pure una casa editrice tra le più importanti d’Italia! Va bene la crisi, va bene che hanno tante cose da gestire, ma essere pagati per il proprio lavoro è sacrosanto: non lavorate mai per un tozzo di pane ed esigete sempre quello che vi spetta.
Fare il traduttore non è un mestiere di serie B.

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Il mio percorso

“Ma tu come hai cominciato?”: insieme a “come faccio a diventare un traduttore?” è una delle domande più frequenti che mi pone chi si avvicina a questo mestiere.
Riassumo quindi in breve il percorso che mi ha portata a iniziare a tradurre, qualcuno potrebbe trovarvi spunti interessanti. Non dimenticate che, oltre all’impegno, ci vuole tanta forza di volontà: bisogna credere fortemente in quello che vogliamo fare.

Mi sono laureata in Traduzione (laurea specialistica, dopo la triennale in Mediazione Linguistica) con una tesi sulle diverse traduzioni italiane di un autore cubano, ahimè poco conosciuto in Italia. La mia tesi piacque tanto alla mia relatrice che mi propose di tradurre insieme a lei l’unico libro non ancora tradotto del suddetto autore. Cosa che abbiamo fatto, ma senza riuscire poi a farlo pubblicare per una questione di diritti negati. È ancora lì nel cassetto in attesa di un editore “illuminato” che non pensi solo al numero di copie vendute: cominciamo bene!

Tuttavia la fortuna è presto venuta in mio soccorso: alla mia relatrice, anche lei traduttrice letteraria, è stato chiesto da una delle più grandi case editrici italiane di tradurre un romanzo. Lei in quel periodo aveva parecchio da fare, ma ha deciso di accettare a patto di poterlo tradurre insieme a me, e così abbiamo fatto. Il libro è uscito, l’anno dopo l’autore ne ha scritto un altro e la mia relatrice me l’ha ceduto volentieri. Nel frattempo, la stessa casa editrice aveva comprato un altro libro per cui avevano bisogno di un traduttore, e hanno chiesto a me di lavorarci sopra. È stato il secondo libro che è uscito con il mio nome sul frontespizio, stavolta non accompagnato da quello della mia relatrice, ed è stata un’emozione incredibile, anche perché, a differenza del primo (ne parleremo…) era un libro splendido, che avevo adorato.

In seguito ho mandato centinaia di cv ricevendo poche risposte, qualche prova di traduzione e qualche traduzione vera e propria, fra cui una per una casa editrice digitale che pubblica solo e-book: una strada da studiare meglio!

Volendo mantenere i contatti con l’ambiente, ed essendo consapevole che la formazione universitaria non mi aveva permesso di conoscere davvero il panorama editoriale italiano, ho poi frequentato una Scuola di specializzazione, di cui vi parlerò più avanti. È stata un’esperienza bellissima e molto utile sia dal punto di vista formativo sia da quello umano, e mi ha fatto conoscere davvero tanti addetti ai lavori, fra traduttori, redattori ed editor. Anche le Giornate della Traduzione letteraria di Urbino, organizzate annualmente da Ilide Carmignani, sono state un’ottima occasione per “farsi vedere in giro”, per entrare un po’ nel circolo del “ma noi ci siamo già visti, vero?”

Come dicevo, crearsi una rete di contatti e conoscenze è importantissimo: certo, io ho anche avuto un bel po’ di fortuna a trovare una relatrice così disponibile, ma in fondo se ha creduto in me un motivo ci sarà. Principalmente, l’aveva colpita il fatto che io leggessi così tanto e amassi parlare dei libri che leggevo: mi ha sempre detto “tu traduci bene perché leggi molto”. Ecco, questo è un punto fondamentale che sicuramente approfondirò in futuro su questo blog: per diventare traduttori bisogna essere prima di tutto lettori onnivori e voraci. Il mio percorso è stato una strada lastricata di libri.

Insomma, cercate sempre di dimostrare quanto valete e di mettere in risalto le vostre passioni, in ogni occasione, anche in quelle insospettabili! Non si sa mai quando potreste essere notati da qualcuno.

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Come si diventa traduttori letterari?

Il dilemmaL’eterna domanda: come si diventa traduttori letterari?
Risposta banale e scontata: con le conoscenze.
Risposta un po’ meno banale e scontata: con la conoscenza.
E che differenza c’è? Vediamo di spiegarci meglio.

È verissimo che le conoscenze (in parole povere, i contatti) sono il primo mezzo per entrare nel mondo della traduzione editoriale. Ma non temete, non servono particolari raccomandazioni: i contatti si costruiscono a poco a poco, con pazienza, inserendosi il più possibile nell’ambiente.

Se frequentate un corso di traduzione, all’università oppure uno dei tanti che si trovano in diverse città italiane (alcuni più affidabili di altri, informatevi sempre prima di iscrivervi) sicuramente avrete l’occasione di entrare in contatto con alcuni “addetti ai lavori” che potrebbero rivelarsi conoscenze preziose o darvi consigli decisivi. Ma i contatti non bastano: bisogna conoscere approfonditamente il panorama letterario nazionale e internazionale, sapere chi pubblica cosa, scegliere la casa editrice giusta a cui proporsi. Ecco che entra in gioco la conoscenza: se ci si specializza in un determinato ambito è più facile essere presi in considerazione. Le case editrici ricevono centinaia di curricula al giorno: perché mai dovrebbero scegliere proprio il vostro, se non vi conoscono?

Una strategia vincente potrebbe essere quella delle proposte editoriali, a cui dedicherò a breve un post più approfondito. Per ora basti dire che spesso ricevere una proposta concreta è più gradito rispetto a un “anonimo” cv, anche se quest’ultimo vanta diverse esperienze, e invoglia le case editrici ad approfondire. Alcune addirittura hanno la precisa direttiva di prendere in considerazione soltanto i curricula che arrivano con una proposta editoriale, e cestinano tutti gli altri senza leggerli. Meglio dunque essere propositivi, stando sempre attenti a proporre libri che possano rientrare nel catalogo dell’editore a cui vi state proponendo: non lanciate proposte a caso, è tutta fatica sprecata.

Certo, queste sono belle parole, incoraggianti, ma come comportarsi se non si riceve mai, e dico mai, una risposta alle proprie e-mail? Domanda legittima che purtroppo non ha una risposta univoca. Come dicevo, è importante crearsi una rete di conoscenze frequentando il più possibile gli eventi, i seminari e le tavole rotonde dedicate alla traduzione editoriale: corsi, workshop, giornate della traduzione letteraria (le più importanti sono quelle di Urbino), incontri all’interno di festival come quelli di Pisa, Bologna, oltre ovviamente al Salone del Libro di Torino, sono ottime occasioni per incontrare editori, redattori e altri traduttori (è importantissimo frequentare altre persone che fanno questo mestiere, spesso sono vere e proprie miniere di consigli). È bene inoltre approfittare di queste occasioni per presentarsi, lasciare qualche cv o chiedere chi si occupa della selezione dei traduttori all’interno delle varie case editrici. Non siate timidi, buttatevi! Spesso il coraggio viene premiato (soprattutto se accompagnato da un minimo di faccia tosta: non siate arroganti, ma sicuri di voi stessi).

Per ora i consigli si fermano qui, per non annoiarvi troppo: a presto con un nuovo articolo!

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Chi ben incomincia

Premessa: il titolo recita “editoriale” perché, pur essendo una traduttrice letteraria, non escludo di poter tradurre un giorno anche saggistica. La traduzione tecnico-scientifica la lascio a chi ha competenze specifiche, anche se non bisogna mai chiudersi in se stessi, quindi chissà…

Insomma, la vita di un traduttore è così, in equilibrio fra un’incertezza e l’altra.

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