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Giornate della Traduzione Letteraria 2014

10672290_694686303950484_8520506359637067981_nNon avendo potuto partecipare alle Giornate della Traduzione Letteraria di Urbino, ho chiesto sulla pagina facebook del blog se qualcuno che ci era andato avesse avuto voglia di raccontare la sua esperienza. Ha risposto all’appello Alessia Fortunato, che ringrazio moltissimo. Ecco quindi il suo resoconto: buona lettura!

Una piccola premessa: personalmente ho soltanto aggiunto qualche “a capo” e corretto qualche accento. La forma e i contenuti dell’articolo rappresentano unicamente l’opinione dell’autrice.

Le Giornate della Traduzione sono state organizzate e presiedute da Ilide Carmignani e Stefano Arduini, con varie illustri guest star che hanno contribuito a rendere questa esperienza molto completa e accattivante. Siamo partiti nel primo pomeriggio di venerdì 26 Settembre con i consueti saluti e presentazioni, immediatamente seguiti dalla presentazione di “Libro”, ad opera di Gian Arturo Ferrari, e fin qui siamo ancora nell’ambito del vago.

Intanto l’aula magna di Palazzo Battiferri si è riempita sempre di più: studenti del posto e non, traduttori alle prime armi, traduttori meno noti e volti più o meno conosciuti. Interessante la tavola rotonda tenuta sulla crisi dell’editoria, dettata dall’avvento dell’ebook, che se riduce i costi di produzione, riduce anche i guadagni senza per questo ridimensionare i collaboratori che prendono parte al processo di pubblicazione. In quella sede Ilide Carmignani ha chiesto l’intervento di Martina Testa (Minimum Fax), Luca Formenton (Il Saggiatore), Mariagrazia Mazzitelli (Salani) e Paolo Repetti (Einaudi Stile Libero), per sentire il parere di case editrici più o meno grandi. Il risultato è abbastanza ovvio: gli editori più piccoli, in situazioni di difficoltà economica, hanno come ultimo “pensiero” proprio pagare i traduttori.

Da qui l’intervento (personalmente assai poco gradito) di una persona dalla platea, non so chi fosse ma a quanto pare una traduttrice piuttosto affermata, che rivendicava come risoluzione della crisi un ritorno alla “vera qualità” di “loro”, i traduttori dai nomi altisonanti le cui cartelle costano non meno di 18 € l’una, che ovviamente in una contingenza economica come questa, a meno che non si tratti di grandi classici, finiscono per lasciare il posto a noi “giovinastri” che sinonimo di qualità a quanto pare non siamo. L’intervento non è stato condiviso né dalla signora Mazzitelli né dalla signora Testa, ma non c’è stato il tempo per rispondere adeguatamente in quanto si era andati oltre l’orario consentito.

Ammetto di aver saltato la Lectio Magistralis di Giuseppe Antonelli “Hai parlato come un libro stampato!”, perché di lì a poco iniziava il mio seminario e dovevo spostarmi in tempi brevi. Ho seguito “Quando il rosa si tinge di giallo” di Alessandra Roccato (Harlequin Mondadori), un interessantissimo momento di confronto sul romanzo che sta tornando nuovamente di moda, di cui la Roccato ha elencato i punti chiave e le linee guida con grande chiarezza e semplicità. Metà del seminario è stato un confronto su quattro pagine che ci era stato chiesto di tradurre, e che abbiamo affrontato tutti insieme per snodare i punti più ostici e capire anche quando è il caso di sacrificare troppa precisione a beneficio di una buona resa emotiva.

Sabato 27 si è aperto con un’altra bordata di seminari, io ho partecipato a “Il ruolo del traduttore all’interno della macchina editoriale” tenuto da Martina Testa, che oltre a chiarire i meccanismi dell’editoria, ha dato una serie di brillanti consigli per ottenere l’attenzione delle case editrici: per chi ha esperienza, insistere sulle pubblicazioni nel curriculum, per chi non ne ha (in realtà mi approprio anche io di questo consiglio), invece del mero invio del curriculum, che sa di passivo, mandare vere e proprie proposte editoriali con tanto di scheda recensiva, sample e proiezioni di vendita dell’opera inedita in Italia.

A seguire, mi cospargo il capo di cenere, ma non saprei riferirvi niente della lezione di etimologia di Alberto Nocentini (Le Monnier) perché è stata abbastanza… sterile? Noiosissima? Ovviamente è un parere personale. Viceversa l’ora successiva è stata un tuffo nella traduzione ai limiti della filologia assieme a Michele Mari, che ci ha raccontato di come il suo amore per Stevenson e L’isola del tesoro lo abbia portato ad accettare la traduzione di un sequel (ovviamente non scritto da Stevenson) che riportava delle incongruenze con l’originale traduzione degli anni sessanta… problema che la casa editrice ha risolto assegnando una nuova traduzione di Stevenson proprio a Mari, per la sua grande gioia.

Dopo il momento dedicato alle premiazioni (Francesca Sassi per Harlequin Mondadori e Anna Ravano per il premio Zanichelli) e lo stacco, riprendono i seminari. Questa volta tre di fila, ancora una volta se ne potevano scegliere solo tre, e i miei hanno anche avuto la fortuna di essere in due sedi diverse, quindi… ho mantenuto la forma! Il primo, “Traduzioni impossibili. Ambiguità e giochi di lingue nell’Ulisse di James Joyce”, è stato tenuto da Fabio Pedone ed Enrico Terrinoni, che ha ritradotto l’opera nel 2013. Ammetto di aver seguito solo per esigenze legate alla traduzione a cui lavoro al momento, non sono una fan di Joyce né del suo genere, ma ho comunque ascoltato con molto interesse l’approccio dinamico con cui Terrinoni si è avvicinato a Joyce riscoprendone l’aspetto ribelle e tipicamente irlandese con il suo “dublineese”.

Poi è stata la volta di un brillantissimo Daniele Gewurz su “Come comportarsi di fronte agli errori dell’originale”: consigli, suggerimenti e aneddoti più o meno famosi. Gewurz ci suggerisce sempre e ecomunque un contatto o diretto con l’autore o altrimenti con l’editore, a cui va segnalato qualsiasi tipo di intervento, sia che decidiamo di risolvere noi, sia che ci limitiamo a segnalarlo ai revisori. Gli ultimi dieci minuti sono stati un divertente confronto di esperienze per raccontare di strilloni in pieno medioevo, cioccolate calde che diventano tazzoni di latte, terzine con quattro versi, e chi più ne ha più ne metta.

Dulcis in fundo, per me, “Storia di un ruttino. Tradurre ‘versi’ per bambini” di Franco Nasi. Un’ora splendida in cui un fantastico Nasi (adoro la sua pronuncia british) ci ha spiegato come si è approcciato ai giochi di parole e suoni per tradurre le poesie per bambini, e in particolare quelle musicali (nonché illustrate dallo stesso autore) di Roger McGough. Altissima la qualità della lezione, le poesie erano veramente belle e nonostante fosse poesia, Nasi si è concentrato sull’importanza della musicalità e del ritmo che è tanto caro anche alla narrativa in prosa curata dalla maggior parte di noi. Molto, molto piacevole e interessante scoprire i giochi di suoni e parole che anche l’Italiano può offrire, seppur con qualche sforzo in più rispetto alla più semplice base inglese.

Domenica mattina avrei dovuto seguire il seminario di Bartocci in due moduli sulle “Problematiche linguistiche e traduttive trasversali ai generi letterari. Analisi e possibili soluzioni”, ma purtroppo è stato annullato il giorno prima. I seminari in alternativa li avevo già seguiti, così ne ho approfittato per tornare alla stazione di Pesaro senza fare le corse.

Un’esperienza molto appassionante e coinvolgente, soprattutto i seminari con i relativi momenti di confronto, proprio per noi che come punto di riferimento abbiamo spesso e volentieri solo lo schermo di un pc, è stato veramente piacevole. La consiglio a tutti, tanto si ripete con cadenza annuale, ed è anche utile ai fini curricolari (per gli studenti di lingue, l’attestato di partecipazione vale anche 2 CFU).

Alessia Fortunato

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Salone del libro 2014 – il mio resoconto (seconda parte)

La folla in sala professionale… Ci sono anch’io in un angolino. foto @l’AutoreInvisibile

Ed eccoci alla seconda parte del mio resoconto sul Salone del libro di Torino; se vi siete persi la prima la trovate qui. Siccome venerdì non ho partecipato all’incontro Tradurre Harry Potter (va bene, lo ammetto, non l’ho neppure mai letto: lo so, lo so, non ditemi niente) ma magari a qualcuno interessa sapere com’è andato, aggiungo anche il link all’articolo di Bookblog che ne parla. Passiamo ora ai seminari di sabato.

Un incontro che mi interessava molto e che alla fine ha fatto un po’ discutere è stato Valutare un saggio di traduzione. Le prove di traduzione sono sempre un argomento spinoso, ma se Grazia Giua di Einaudi ed Ena Marchi di Adelphi hanno cercato di spiegare i loro criteri per valutarle, mentre Federica Magro di RCS ha parlato poco delle prove e molto dei service editoriali, argomento non proprio inerente al tema del seminario. Ma andiamo con ordine.

Grazia Giua ha segnalato alcune parole chiave: responsabilità, nel senso che un editore deve assegnare le prove in modo mirato, a fronte di un incarico reale, dato che un traduttore può essere ottimo per un certo libro e inadatto a un altro; mentre la responsabilità del traduttore è principalmente l’autorialità, ossia consegnare una prova svolta interamente da lui/lei, e non imbrogliare solo per ottenere l’incarico. Investimento: la prova è un costo per tutti, in termini di tempo e denaro, ma l’editore la fa per crearsi un network di traduttori a cui attingere anche per altri testi. Remunerazione: il traduttore ha il diritto di ricevere un feedback ragionato, anche nel caso non venisse scelto. Mediazione: fondamentalmente il dilemma della correttezza formale vs. l’espressività di un testo in traduzione.

Anche Ena Marchi crede nel rapporto stretto fra editor e traduttore, e nell’ambito dei corsi di traduzione preferisce quelli che permettono un rapporto tutoriale fra “esperto” e “allievo” (che poi è il principio base del corso Tradurre per l’editoria di La Matita Rossa, non per farmi pubblicità :P ). Sapere perché si sbaglia è fondamentale, ed essere “bocciati” a una prova di traduzione vuol solo dire che non eravamo adatti a quel libro in particolare, non vengono messe in dubbio le nostre capacità traduttive (non sempre, insomma). È possibile inoltre richiedere una seconda prova, perché la traduzione non è una scienza esatta: può darsi che un altro libro si riveli più congeniale alla nostra voce.

Ha poi preso la parola Federica Magro, che ha voluto spostare il discorso sulla saggistica, ma senza affrontare il tema delle prove di traduzione. Il suo consiglio per gli aspiranti traduttori di proporsi ai service editoriali, di cui molte case editrici fanno largo uso, mi ha lasciata un po’ perplessa. La sensazione è che gli editori siano completamente scollegati dalla vita reale dei traduttori e non sappiano che questi service, che garantiscono traduzioni veloci e a costi contenuti, pagano i traduttori un pezzo di pane e li fanno lavorare con tempistiche disumane. Per fortuna è intervenuta una traduttrice, di cui purtroppo non ho afferrato il nome, che ha sottolineato questo aspetto poco pulito dei service. Federica Magro ha tentato di recuperare assicurando che loro si rivolgono a service molto seri, ma in sala si percepiva un certo scetticismo. Del resto, già i traduttori vengono pagati poco se lavorano direttamente per gli editori, se c’è un passaggio in più (e sicuramente il service qualcosa ci deve guadagnare) quanto potrà convenire a un traduttore lavorare così?

L’incontro si è chiuso con un’ulteriore nota di pessimismo: alla domanda di Ilide Carmignani su come un giovane traduttore possa proporsi per una prova di traduzione, tutte e tre le editor hanno risposto: non cominciate da noi. Insomma, il caro vecchio “dovete avere esperienza, ma noi non ve la facciamo fare”. Un po’ di amaro in bocca, dunque, per un incontro che aveva grandi potenzialità ma che si è rivelato utile solo nella teoria di una situazione ideale, quella di un traduttore già affermato (ebbene sì, anche i traduttori già noti affrontano prove di traduzione, per capire se sono adatti a un libro in particolare). L’unica conclusione da trarre è che è meglio cominciare a proporsi alle case editrici medio-piccole.

L’incontro successivo era Tradurre il ritmo della prosa, con Franco Buffoni e Donata Feroldi. È stato molto interessante, anche se alcuni degli esempi proposti mi sono sembrati un po’ troppo aderenti all’originale, al contrario di quanto veniva detto durante l’incontro. In sostanza, il concetto è che il ritmo delle frasi è importante quanto il loro significato. Non bisogna riprodurre quello dell’originale, ma trovare il respiro del testo che stiamo producendo: il ritmo coincide con la soggettività, e l’incipit è il momento in cui questo respiro si manifesta. Esiste il discorso, non le singole parole, ed è in base a questo che dobbiamo trovare la musicalità del testo, a livello prosodico, di punteggiatura e di ordine delle parole. Anche le assenze, i vuoti, fanno parte del ritmo. Buffoni ha sottolineato che con “ritmo” non si intende il metro poetico: la differenza non è fra poesia e prosa, ma tra buona scrittura, che ha una sua musicalità, e scrittura mediocre.

Passiamo a L’italiano letterario delle redazioni editoriali, incontro che sono riuscita a seguire solo in parte. Giuseppe Antonelli ha sottolineato come il concetto di “giusto” sia diverso da quello di “esatto”: bisogna perseguire la precisione, non l’esattezza, che se portata all’estremo si trasforma in un “esattismo”. Ha anche ricordato come spesso per fare bella figura si tenda ad alzare il registro (effettuare al posto di fare, recarsi invece di andare, e così via), in nome di un perbenismo linguistico non troppo apprezzabile. Negli ultimi dieci-quindici anni, secondo Antonelli, si è andati verso una sorta di grammaticalizzazione della lingua, che viene spesso gonfiata in cerca di effetti speciali, atteggiamento tipico di chi non la conosce bene e cerca di darsi un tono.

È poi intervenuta Mariarosa Bricchi, che ha parlato di permeabilità della lingua: in un ambiente chiuso come una redazione si tende a creare un linguaggio interno condiviso da chi ci lavora. Le revisioni spesso riflettono l’idea di lingua che ha l’editor, ma bisogna esserne consapevoli e saper rispettare il lavoro altrui. È stato poi sottolineato che il congiuntivo non è in via d’estinzione, anzi, spesso viene usato a sproposito. In un testo, le parole non devono essere la veste ma il corpo: inutile abbellire, adornare, arricchire a sproposito se sotto non c’è nulla.

Ho poi seguito anche Tradurre Leonard Cohen, ma la traduzione di poesie non è decisamente il mio forte. L’incontro è stato interessante, ma mi è difficile farne un riassunto. Sono state lette alcune poesie in lingua originale e le loro traduzioni italiane, e Giancarlo De Cataldo e Damiano Abeni hanno raccontato alcuni aneddoti riguardo al loro lavoro di traduzione.

Per finire ho ascoltato Susanna Basso parlare di Tradurre Alice Munro, ma anche qui è impossibile trasmettere in poche parole tutto ciò che è stato detto da questa donna eccezionale. Per fortuna il testo dell’incontro è disponibile online sul sito della rivista Tradurre.

Sabato ho concluso la giornata letteraria andando in centro a Torino, a Il Camaleonte Piola, a sentire la seconda presentazione condotta dalla mia amica Lettrice Rampante. Stavolta toccava a Iddu. Dieci vite per il dio del fuoco, di Andrea Vismara, sempre di Spartaco Edizioni, e nonostante il pubblico non fosse numeroso – o forse proprio per questo – è stato bello, si respirava la voglia di conoscere storie nuove. Spesso i piccoli editori riservano belle sorprese, quindi non sottovalutiamoli, anche se molti non traducono.

Quest’anno non ho fatto il consueto giro per chiedere i contatti agli editori. Non perché credo sia inutile, ma perché al momento per fortuna sto lavorando parecchio, e in ogni caso ho ancora tutti i contatti raccolti l’anno scorso. Non ho neppure fatto molti acquisti, un po’ per via dei pochi sconti che si trovavano agli stand, un po’ perché tra un incontro e l’altro non ho avuto moltissimo tempo per girare. Anche se il bello del salone è proprio questo, perdersi fra pagine e copertine, magari evitando accuratamente gli stand dei grossi editori, che tra luci accecanti, fascette esagerate e copertine tutte uguali assomigliano più a centri commerciali che a poli culturali. Non tutto positivo al 100%, anche considerando che all’interno del Salone i cellulari prendevano a singhiozzo e internet pure, e la sala “professionale” (modificata dal terribile calco “professionali” dell’anno scorso, ma anche “sala professionale” non è che abbia molto senso) era difficile da trovare, piccola e rumorosa come al solito. Ma sono contenta di esserci andata.

Il mio Salone si è concluso domenica, anche se non sono riuscita a seguire l’evento che avevo in programma perché ho dovuto passare mezza giornata in casa editrice… Curiosi? Al prossimo post!

 

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Salone del libro 2014 – il mio resoconto (prima parte)

IMAG3076[1]Quando sono entrata al Salone del libro il primo giorno, giovedì, la cosa che mi ha subito colpita è stata il profumo della carta. Nei giorni successivi non l’ho più sentito, non so se per via della folla o perché mi ero ormai assuefatta, ma giovedì è stato come entrare in un enorme libro, col naso puntato in avanti e le narici che fremevano di piacere.

Avevo elencato gli incontri che mi sarebbe piaciuto seguire, ma per svariati motivi (perlopiù lavorativi, poi vi racconterò) ne ho saltati alcuni e aggiunti altri. Ecco dunque il resoconto del “mio” Salone del libro.

Giovedì ho saltato il primo incontro, Lavorare nell’editoria oggi, ma mi hanno riferito che non mi sono persa granché. Se qualcuno di voi c’era, batta un colpo e mi faccia sapere! Il primo incontro che sono riuscita a seguire è stato Traduttore e revisore a confronto. Matteo Colombo dialogava con Anna Nadotti sulla nuova traduzione del Giovane Holden appena uscita per Einaudi, e Chiara Spallino parlava con Elena Loewenthal di un libro su una famiglia ebrea, di cui purtroppo non ho afferrato il titolo. Tuttavia quest’ultimo intervento ha un po’ perso di vista l’argomento del seminario, concentrandosi sulle difficoltà della lingua ebraica, per poi essere eclissato dalla verve della coppia Colombo-Nadotti. Impossibile riassumere tutto ciò che hanno detto, dimostrandosi davvero appassionati e competenti, ma vi consiglio caldamente di dare un’occhiata al loro frizzante epistolario pubblicato sul sito Einaudi, in cui raccontano le varie fasi del loro lavoro di traduzione e revisione. Il dialogo con un buon editor è una parte meravigliosa del lavoro di traduzione, ho avuto anch’io questa fortuna con il libro su cui sto lavorando al momento, e presto vi racconterò la mia esperienza.

Ma torniamo al Salone: dopo un primo giro fra gli stand, ho seguito La traduzione saggistica e scientifica divulgativa. Ho preso un bel po’ di appunti, ma cercherò di farla breve: Isabella Blum ha ricordato come per tradurre saggistica – ambito troppo spesso sottovalutato dagli aspiranti traduttori – sia necessario saper dominare il tema, che non vuol dire conoscerlo a menadito fin da subito ma saper svolgere ricerche appropriate. Bisogna sempre essere consapevoli delle proprie lacune, e saperle colmare. Ha poi sottolineato che spesso si fraintende la facilità del testo finale: scrivere in modo semplice e comprensibile comporta notevoli difficoltà. Enrico Casadei, di Codice edizioni, ha ribadito che a un buon traduttore di saggistica si richiede soprattutto versatilità, ossia la capacità di dominare testi che spesso riguardano discipline ibride. Non tutti i testi di saggistica sono settoriali al 100%, e del resto un esperto in una certa materia non è necessariamente un bravo traduttore. Occorre dunque essere in grado di sviluppare un metodo, più che specializzarsi in un campo circoscritto. Michele Luzzatto, di Bollati-Boringhieri, ha elencato tre capacità fondamentali per un traduttore di saggistica: prima di tutto saper scrivere bene in italiano, poi conoscere abbastanza bene l’argomento di cui si parla e avere una cultura abbastanza ampia, e solo in ultima posizione conoscere la lingua di partenza. Anche Michele Riva ha parlato di competenze e della capacità di ricercare fatti e informazioni, di sapersi muovere bene nell’argomento e di cogliere il modo in cui viene usata la lingua.

Il venerdì ho seguito Lo scrittore e i suoi traduttori – Barbara Ivancic dialoga con Ilide Carmignani, ma sinceramente questi incontri “monografici” non mi dicono un granché. È stato più interessante l’incontro successivo, Editori, lettori, traduttori: nuovi ruoli nell’esperienza digitale. Edoardo Brugnatelli ha dato qualche consiglio utile agli aspiranti traduttori: prima di tutto considerare gli e-book e l’autopubblicazione una risorsa, poiché pare che molti si mettano a scrivere in tarda età, abbiano grosse disponibilità finanziarie e sarebbero felici di vedere tradotte le loro opere. Un punto di partenza per scoprire autori da tradurre senza passare attraverso le case editrici è Babelcube, un sito internazionale che mette in comunicazione autori e traduttori. Ha poi consigliato di leggere questo articolo di Will Self sul Guardian e Is That a Fish in Your Ear? di David Bellos. Secondo Brugnatelli, inoltre, l’e-reader non avrà vita lunga perché è un apparecchio che permette di fare una sola cosa, mentre oggi la tendenza è di accentrare molteplici funzioni su un solo dispositivo. Di conseguenza, per un editore la concorrenza non saranno più gli altri editori, ma tutte le altre funzioni svolte da questi dispositivi: film, musica, giochi e distrazioni varie.

Ha poi parlato dell’acquisizione di aNobii da parte di Mondadori, ed è stato molto interessante sentire alcune delle novità che hanno intenzione di inserire sul sito: per esempio, nella scheda dei libri sarà possibile per il traduttore di una determinata opera inserire una propria nota alla traduzione. A me sembra una bellissima idea! Ci saranno poi dei collegamenti fra il sito e il proprio e-reader per inserire direttamente delle note durante la lettura. Insomma, secondo Brugnatelli, nonostante si sia parlato molto male di questa mossa, a Mondadori interessa aNobii più che altro perché sapere cosa dicono i lettori è una grande risorsa per un editore. Sarà vero? In ogni caso, un traduttore oggi deve essere più che mai in grado di dominare gli strumenti informatici e il web.

Per concludere il venerdì, sono andata a sentire la presentazione del libro Le giocatrici, di Marilena Lucente, pubblicato da Edizioni Spartaco, non tanto perché mi interessasse l’argomento quanto perché a presentare c’era la mia grande amica La Lettrice Rampante, che se l’è cavata alla grande :)

Mi rendo conto che questo post rischia di diventare infinito, quindi per oggi mi fermo qui. A prestissimo con la seconda parte del mio resoconto, riguardo agli incontri di sabato (domenica ero al salone ma non sono riuscita a seguire nulla).

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Tradurre per l’editoria. Corso base.

libroUltimamente i corsi di  traduzione si sono moltiplicati, offrendo ciascuno una formula diversa per andare incontro alle necessità delle moltissime persone che sognano di diventare traduttori.

Come orientarsi in questa giungla? Il mio consiglio è sempre di seguire corsi organizzati da chi svolge già questo mestiere, perché la teoria insegnata da professori universitari e studiosi di linguistica serve solo fino a un certo punto: quello che conta davvero oggi sono le esperienze reali, le testimonianze, la conoscenza del mondo editoriale dall’interno.

All’università ho seguito corsi di traduzione tenuti da professori sicuramente preparatissimi, ma che non avevano mai tradotto una parola al di fuori dell’ambito accademico. Manco a dirlo, più di qualsiasi lezione approfondita sulle teorie di Jakobson, Steiner, Newman o chi per essi, mi sono servite le ore passate a lavorare sui testi in compagnia di traduttori editoriali già affermati, quando ne ho avuta l’occasione.

Per questo, quando mi è stato proposto di tenere parte di un corso di traduzione ho subito pensato che l’esperienza in questo campo vale più di qualsiasi titolo accademico. Certo, una laurea magistrale in traduzione ce l’ho, ma soprattutto negli ultimi anni ho tradotto quasi esclusivamente per l’editoria, sia opere di narrativa sia di saggistica.

Il corso di cui parlo è organizzato dal service editoriale La Matita Rossa, con il cui blog collaboro già da un po’. Si intitola semplicemente Tradurre per l’editoria. Corso base, perché in fondo i giri di parole non sono necessari: l’obiettivo del corso è fornire strumenti e informazioni a chi desidera intraprendere questa strada difficile ma affascinante, da un punto di vista estremamente pratico e realistico. Il corso riguarda la traduzione editoriale dall’inglese e si svolgerà totalmente online, per venire incontro a chi non può spostarsi o ha orari incompatibili con le lezioni in aula: ogni settimana verrà inviata una dispensa su un particolare argomento, con spiegazioni ed esercizi, e poi ogni allievo potrà confrontarsi con il docente in chat, per discutere le strategie traduttive impiegate nell’esercitazione, ricevere consigli e fare domande.

Ecco il programma del corso, che costa 160 euro e comprende, oltre alle 12 lezioni, 6 ore di tutoraggio via chat (mezz’ora alla settimana), correzione degli esercizi da parte dei docenti e approfondimenti con interviste a esperti del settore.

  • TRADURRE NARRATIVA (3 lezioni) 
  • TRADURRE SAGGISTICA (3 lezioni)
  • IL LAVORO REDAZIONALE Editing e correzione di bozze (2 lezioni)
  • SCELTE DI TRADUZIONE (1 lezione)
  • SUPPORTI ALLA TRADUZIONE web, dizionari (1 lezione)
  • TRADURRE PER MESTIERE Aspetti legali e fiscali del lavoro di traduttore (2 lezioni)

Come potete notare, si tratta di un corso base ma che mira a fornire una panoramica di tutto ciò che è assolutamente necessario sapere per diventare traduttori.

L’ammissione al corso è subordinata a una breve prova di traduzione (gratuita). È necessario preiscriversi compilando l’apposito modulo. Sul sito potete anche trovare tutte le informazioni sul corso e sui docenti.

Se avete qualche domanda, sono a vostra disposizione. E ovviamente alla fine del corso aspetto commenti, impressioni e suggerimenti: il confronto con le opinioni altrui è fondamentale per un buon traduttore.

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Solo libri belli

Post brevissimo solo per annunciare che ho aperto un nuovo blog: Solo libri belli.

Non si parla di traduzione ma di buona letteratura (e quindi, indirettamente, anche di traduzione!). Ovviamente questo Diario resterà aperto e continuerò ad aggiornarlo, Solo libri belli è soltanto un progetto parallelo. C’è anche la pagina Facebook, se passate a trovarmi mi farà piacere!

A presto con un nuovo articolo sulla traduzione editoriale :)

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Due brevissimi aggiornamenti

Ho creato la pagina “Recensioni“. Vi inserirò recensioni di saggi e romanzi che parlano di traduzione o di traduttori, oltre a qualche commento su libri che secondo me meritano di essere letti, vuoi perché lo stile dell’autore è interessante, vuoi perché mi sono semplicemente piaciuti parecchio. Essere traduttori vuol dire prima di tutto essere lettori. Non mi metterò a recensire ogni libro che leggo, ma solo quelli che ritengo ben scritti o ben tradotti.

Inoltre, da venerdì terrò una piccola rubrica bisettimanale come ospite su un altro blog che poi vi linkerò. L’argomento sarà sempre il tradurre, ma da un punto di vista più “professionale”, insomma, non darò consigli su come iniziare ma parlerò della traduzione in maniera più specifica. Alcuni articoli li riporterò anche qui, altri li scriverò appositamente per l’altro blog, a seconda dell’argomento del giorno. Ne sono molto felice e onorata, a tempo debito vi svelerò tutto.

A presto con i prossimi articoli!

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Entrare nel mondo della traduzione: il parere di Elisa Comito (STradE)

Questo post non è opera mia bensì di Elisa Comito, del Sindacato Traduttori Editoriali STradE, che ringrazio infinitamente per aver accettato di farmelo pubblicare. Si tratta di un suo intervento sulla mailing list di traduttori e interpreti Langit, dove un’iscritta ha chiesto consiglio a propostito di una tariffa “d’ingresso” davvero infima offertale da una casa editrice. Ecco a voi la risposta di Elisa Comito, che io ho trovato utilissima ed esauriente. Non perdetevela, potrebbe togliervi molti dubbi!

 

Mi permetto di offrire un altro punto di vista, nato non solo dalla
mia esperienza personale ma anche dall’esperienza nel sindacato dei
traduttori editoriali STRADE. Nell’ambito del sindacato, faccio parte
del gruppo di lavoro sul diritto d’autore e i contratti editoriali
che, tra le altre cose, fornisce consulenze contrattuali:
http://www.traduttoristrade.it/consulenza-legale

Di contratti ne abbiamo visti a iosa, stipulati con editori grandi e
piccoli, corretti e farabutti (la serietà è indipendente dalla
dimensione). Ci scrivono traduttori che lavorano da diversi anni ma
anche molti esordienti, alla loro prima pubblicazione.
Ti dico quindi che non solo non è impossibile ma è fin troppo facile
(anche “grazie” a una serie di corsi e corsetti che offrono “stage” di
dubbia eticità) “inserirsi” nel settore, se per “inserirsi” si intende
“ottenere una o qualche traduzione a qualsiasi prezzo” lavorando
gratuitamente o per pochi spicci. Dirò di più: “a qualsiasi prezzo”
comprende anche traduttori che pagano, a caro prezzo, per essere
inseriti tra i collaboratori della “casa editrice” nell’illusione che
ciò, consentendogli di mettere nel curriculum quel libro, gli apra la
porta al lavoro “vero”. Il che difficilmente avverrà, perché gli
editori si conoscono tra loro, e quelli seri quando vedono nel CV solo
traduzioni di un certo tipo traggono le loro conclusioni.
Esaminiamo con regolarità contratti nei quali la tariffa ridicola è
solo uno degli aspetti critici, spesso neanche il peggiore. Tutto
questo (mi riferisco soprattutto alle traduzioni dalle lingue più
conosciute) contribuisce ad aumentare il degrado della professione ma
anche del settore editoriale, oggi caratterizzato da un’enorme
precarietà e svalutazione del lavoro di tutti i soggetti coinvolti, al
punto che non solo le associazioni di traduttori, redattori ecc. ma
anche diversi editori si stanno ponendo il problema di porre nuove
regole. Molti editori si rendono conto che, con il mutamento degli
scenari dovuti agli sviluppi del digitale e all’entrata in gioco di
altri soggetti economici nel mondo del libro e della lettura,
continuare per questa strada rischia di portare alla loro stessa
rovina).
Infatti le cose si stanno muovendo, a livello di discussione,
riflessioni e trattative, all’interno del mondo editoriale, come sanno
i colleghi del sindacato o di altre associazioni o comunque attenti al
contesto in cui si inserisce il loro lavoro. Purtroppo restano ancora
troppi colleghi (è difficile anche quantificarli) che lavorano
nell’inconsapevolezza.

Poi non bisogna mervigliarsi quando si accorgono che di traduzioni
editoriali è difficile vivere perché, volenti o nolenti,
contribuiscono a renderlo sempre più difficile.
Riguardo al fatto che “gli editori, soprattutto i maggiori, hanno
oramai i loro traduttori”, neanche questa è una reale barriera (o una
sicurezza, a seconda del punto di vista) perché in realtà diversi
editori, col tempo, man mano che riescono a trovare traduttori più
economici li cambiano (ovviamente contribuendo al degrado
dell’editoria di cui ho già parlato, anche perché non sono solo le
tariffe che peggiorano ma i tempi e le condizioni di lavoro in
generale, non solo per i traduttori ma per tutti i collaboratori
editoriali).
Ripeto: “inserirsi” nell’editoria per tradurre qualche libro non è
difficile, è inserirsi in modo da ricavarci un mestiere di cui vivere
e possibilmente delle soddisfazioni che è estremamente difficile, e
non penso si possa ottenere accettando tariffe da fame. Anche perché
l’esperienza ci dimostra che in genere chi fa così resta poi legato a
queste tariffe.
Se uno cerca un hobby perché ha altre risorse o è ancora mantenuto
dalla famiglia, ha un partner che guadagna bene o comunque non ha
preoccupazioni economiche, ok, ma poi non si meravigli se non riesce a
farne un vero lavoro. La situazione è tale che già oggi (in cui la
tariffa di 3 euro resta al di sotto di qualsiasi standard anche per i
piccoli editori) chi lavora professionalmente diffficilmente riesce a
fare solo traduzioni editoriali ma deve combinarle con traduzioni
tecniche o altre attività (insegnamento, formazione o attività
completamente diverse), figuriamoci se questa tendenza continuna e
viene incoraggiata…

Io incoraggio piuttosto i traduttori esordienti a guardarsi intorno e
se non riescono a trovare abbastanza traduzioni editoriali a
condizioni decenti, DIVERSIFICARE  i loro settori di lavoro o cercare
altre strade.
Personalmente faccio traduzioni editoriali e tecniche (soprattutto in
due settori) per non dover subire troppi ricatti né dagli editori né
dalle agenzie di traduzioni o da altri clienti. Se un editore mi
propone una tariffa che ritengo troppo bassa non mi sento costretta ad
accettare per timore di rimanere senza lavoro. Dimunuisce la quota di
traduzioni editoriali? Pazienza, aumenterò le altre. E viceversa.
Anche così non è facile lavorare tranquillamente perché anche nel
campo delle traduzioni tecniche ci sono tanti colleghi che giocano
al ribasso (coltivando, anche qui, molte illusioni…) ma finora sono
riuscita a vivere del mio lavoro e, in ogni caso, quando le traduzioni
non mi basteranno, passerò a un’altra attività piuttosto che abbassare
le tariffe nella speranza di avere più lavoro (a che fine? Lavorare di
più per guardagnare lo stesso?)

In conclusione non posso che consigliare di
ascoltare in podcast, appena sarà disponibile, la puntata di ieri di
Fahrenheit dedicata ai traduttori editoriali: http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/archivio/ContentSet-bc3665d6-7113-49d3-9814-a57857f3542c.html
Traduttrici di lunga esperienza parlano del lavoro, delle tariffe, dei
problemi del settore.

Buon ascolto e buon lavoro (decentemente pagato) a tutti!

Elisa Comito

 

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Workshop di editing (minimum fax, Roma 14-16 dicembre 2012)

Come vi avevo anticipato, questo fine settimana ho partecipato al workshop di editing organzzato dalla casa editrice minimum fax.
Questo blog parla prevalentemente di traduzione letteraria, ma di solito chi aspira a diventare traduttore è interessato a tutti gli aspetti del mondo editoriale, quindi un resoconto di questo workshop potrebbe essere interessante per qualcuno.

Com’è stato, dunque? Il primo aggettivo che mi viene in mente: stimolante. Il coordinatore era Christian Raimo, scrittore, editor, insegnante e chi più ne ha più ne metta. Ho sempre invidiato chi riesce a spaziare e ad allargare i propri orizzonti, e pare che lui ci riesca in pieno. Anzi, è stato proprio questo il suo primo consiglio: leggere di tutto, voracemente, senza limiti autoimposti. Leggere soprattutto testi che non incontrano i nostri gusti o i nostri interessi, o che non fanno parte dell’ambito in cui lavoriamo, per riuscire a crearci un bagaglio culturale il più ampio possibile. Qualche esempio? La poesia può aiutare a comprendere meglio i vari livelli di sperimentazione linguistica, il teatro è utilissimo per il ritmo dei dialoghi, e così via. Che poi è lo stesso consiglio che viene dato durante i corsi di traduzione, non so se mi spiego…

Il workshop era articolato in tre giorni: nel primo incontro abbiamo discusso i compiti e le responsabilità di un editor, partendo da esempi di modelli ideali, che si sono rivelati talenti poliedrici e letterariamente bulimici: come accennato sopra, per poter essere un buon editor (o un buon traduttore) è necessario aver metabolizzato una gran quantità di testi diversi, essere curiosi e aperti, pronti al confronto e all’associazione di idee. Christian ci ha inoltre fornito una serie di spunti riguardo a riviste e siti su cui trovare pareri autorevoli su quel che vale la pena leggere, per tenersi informati sulle novità in campo editoriale. C’è tutto un mondo semisconosciuto in fermento, e vale davvero la pena di approfondire. L’editoria è cambiata completamente nell’ultimo secolo, e ancor di più negli ultimi anni: stare al passo con le nuove iniziative è difficile quanto appassionante.

Ma veniamo all’editing in sé: un editor si occupa sia della selezione sia della cura dei testi. Christian ha fatto un paragone che trovo davvero azzeccatissimo: occuparsi di editing è come sostenere un colloquio con i genitori di un nostro alunno. Essendo anch’io – seppur da poco – un’insegnante, ho capito perfettamente cosa intendesse dire (anche perché l’ha spiegato bene, lo ammetto). L’editor è come un insegnante che si trova a discutere con il genitore di un ragazzo, e quest’ultimo non appartiene a nessuno dei due, ma solo a se stesso e al proprio destino. È nell’interesse di tutti trovare un indirizzo adeguato per il ragazzo, dargli la possibilità di crescere, di dare il meglio di sé, di distinguersi nel mondo. Allo stesso modo, l’autore consegna all’editor un testo che andrà valorizzato con la collaborazione di tutti, senza snaturarlo né dargliela vinta per pigrizia. È compito dell’editor dare indicazioni all’autore affinché il testo migliori. Fare editing è dunque un po’ come educare un testo. E va bene, Christian ce l’ha spiegato meglio, ma il concetto è questo.

La seconda parte del workshop prevedeva che lavorassimo sul testo di un autore italiano, Francesco Longo. Ci è stato consegnato un suo vecchio racconto mai pubblicato e mai revisionato, e per tutta la giornata di sabato abbiamo discusso su come migliorare il testo, su come dare forza ai personaggi, come rendere più realistici certi atteggiamenti e certe situazioni, insomma, come rendere il racconto pubblicabile. Il giorno successivo, Francesco si è prestato al massacro venendo ad ascoltare i nostri commenti. È stato molto utile per noi ma – credo – anche per lui, dato che gli abbiamo fatto notare quali immagini non erano chiare, quali incongruenze avevamo riscontrato e così via. Mettere insieme quindici cervelli non è facile, perché ognuno si crea la propria visione dei personaggi e della storia, ed è molto raro che combaci con quella degli altri. Da qui l’immagine che accompagna il post: a un certo punto ognuno si convince della propria verità e cerca di renderla evidente (per non dire sbatterla in faccia, eravamo quasi tutte donne e non siamo state così violente) agli altri, magari scaldando anche un po’ gli animi, ma non temete: è divertente!

Insomma, sono rimasta davvero soddisfatta da questi tre giorni romani pieni di dialogo, di conversazioni letterarie, di consigli, di speranze e passioni condivise. Se ne avete l’occasione, fateci un pensierino per la prossima volta.

Una piccola postilla:
Da traduttrice, ho sempre visto l’editing come poco più di una correzione di bozze: si può cambiare qualche aggettivo, l’ordine delle parole; anche riscrivere una frase, ma mai cambiarne la sostanza. E in effetti quando si tratta di testi tradotti, quindi già pubblicati in un’altra lingua, il rispetto per le scelte dell’autore è imprescindibile. Questo workshop, invece, era incentrato su testi non ancora pubblicati, quindi da migliorare apportando modifiche anche sostanziali, intervenendo sulla trama e sui personaggi e così via. Io tendo a vedere un testo stampato (anche semplicemente da Word) come sacro, in cui si possono correggere errori e sviste ma intoccabile nella sostanza, pur magari accorgendomi dei suoi difetti. Questo corso mi ha aperto la mente e mi ha messa di fronte al grande potere di migliorare un testo cambiando radicalmente un’immagine, una scena, un personaggio. Non so se arriverò mai a fare un lavoro del genere, ma so che adoro discutere delle infinite possibilità che ci offre la letteratura.

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Chi ben incomincia

Premessa: il titolo recita “editoriale” perché, pur essendo una traduttrice letteraria, non escludo di poter tradurre un giorno anche saggistica. La traduzione tecnico-scientifica la lascio a chi ha competenze specifiche, anche se non bisogna mai chiudersi in se stessi, quindi chissà…

Insomma, la vita di un traduttore è così, in equilibrio fra un’incertezza e l’altra.

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