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Lost in translation, ovvero: la storia di una proposta editoriale

indexPerdonate il titolo banale e forse fuorviante: in questo post non parlerò di tutto ciò che va perduto durante l’atto traduttivo. Vi spiegherò invece perché non scrivo da novembre, subito dopo aver festeggiato il compleanno del blog.

Beh, in realtà la risposta è molto breve: negli ultimi sei (otto) mesi non ho avuto tempo di dedicarmici. Perché mi sono trasferita a 130 km di distanza con tutto quello che comporta insegnare a Torino un giorno alla settimana e vivere vicino a Pavia il resto del tempo, ma anche – e per fortuna – perché ho avuto molto da tradurre.

Fra i libri su cui ho lavorato in questo periodo, vorrei dedicare un’attenzione particolare a Écue-Yamba-Ó di Alejo Carpentier, e vi spiego subito il perché: questo romanzo ha una storia piuttosto travagliata. Carpentier è l’autore su cui ho fatto la mia tesi magistrale, confrontando le diverse traduzioni esistenti di alcuni dei suoi romanzi. Le prime erano piuttosto vecchiotte, le ritraduzioni, invece, erano a cura di Angelo Morino, il mio professore universitario (e immenso traduttore) scomparso prematuramente nel 2007. Proprio Morino aveva iniziato tempo addietro, insieme alla mia relatrice di laurea Vittoria Martinetto, a tradurre le prime pagine di Écue-Yamba-Ó, primo romanzo di Carpentier.

Questo libro dal titolo così strano non ha visto la luce fino a pochi giorni fa. Con la scomparsa di Morino, il progetto era stato accantonato finché Vittoria non mi ha proposto di tradurlo insieme, per poi cercare un editore che volesse pubblicarlo. L’abbiamo quindi tradotto all’incirca nel 2010, e ci siamo messe alla ricerca di una casa editrice interessata. Einaudi e Sellerio, che avevano pubblicato gli altri romanzi di Carpentier, l’hanno rifiutato perché “poco commerciale”, pur elogiandolo molto (conservo ancora la dettagliata risposta dell’editor di Einaudi che l’ha valutato in termini decisamente positivi. Cito testualmente, sapendo di non fargli un torto: “anche in questo romanzo giovanile Carpentier è già un gigante della scrittura”).

A un certo punto siamo riuscite ad accordarci con una piccolissima casa editrice fiorentina che era molto interessata al libro, ma la Fundación Carpentier di Cuba, che detiene i diritti dell’opera (aspiranti traduttori, ricordate: prima di fare una proposta editoriale informatevi sempre riguardo ai diritti!), non l’ha ritenuta abbastanza prestigiosa per pubblicare un autore come Carpentier.

Insomma, da un lato i “grandi” non lo volevano perché “fuori moda”, dall’altra i piccoli editori venivano scartati perché forse non in grado di pubblicizzarlo al meglio… E così per anni l’abbiamo lasciato nel cassetto, un po’ deluse.

Quando però Lindau, con cui collaboro da diverso tempo, ha inaugurato la collana di narrativa Senza Frontiere, Carpentier mi è sembrato una scelta perfetta e naturale. Il direttore editoriale per fortuna la pensava come me, la Fundación stavolta ha accettato, e così io e Vittoria abbiamo ripreso in mano la traduzione terminata quasi cinque anni prima. Un lavoro gomito a gomito che come al solito mi ha arricchita moltissimo, complicato ma affascinante: ore e ore passate a rivedere, limare, aggiustare, cambiare per poi tornare sui nostri passi, cercare improbabili riferimenti online, decifrare e confrontare.

Il risultato è uscito pochi giorni fa, dopo un’attenta revisione da parte di Paola Quarantelli di Lindau e di Vincenzo Perna, esperto di musica afrocubana (perché sì, nel libro c’è tanta musica, tanto ritmo non solo linguistico), e come potete immaginare ne siamo oltremodo felici. Speriamo che a Carpentier venga finalmente tributato il giusto merito anche per questo romanzo giovanile ma già ricco di fascino.

Morale della favola: non scoraggiatevi mai, una proposta di traduzione rifiutata per anni un giorno potrebbe trovare la sua perfetta collocazione, quella che stava aspettando fin dall’inizio.

Un’ultima cosa: a settembre partirà la nuova edizione del corso online Tradurre per l’editoria. Siccome sono una delle tutor, posso dire di essere molto soddisfatta di come sono andate le edizioni precedenti, e a giudicare dai commenti degli iscritti, che trovate sul sito (e non li abbiamo inseriti noi, giuro!), lo è anche chi vi ha partecipato. Vi invito a consultare il programma se siete alla ricerca di un corso “pratico” ma non potete spostarvi da casa. Questo corso è un altro dei motivi per cui non ho avuto il tempo di aggiornare il blog: è impegnativo e arricchente anche per me.

Spero di riuscire ad aggiornare presto il blog, anche se mi aspetta un’estate di fuoco e niente vacanze. Guardiamo il lato positivo, però: diventare traduttori è possibile, se si ha abbastanza tenacia.

 

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Giornate della Traduzione Letteraria 2014

10672290_694686303950484_8520506359637067981_nNon avendo potuto partecipare alle Giornate della Traduzione Letteraria di Urbino, ho chiesto sulla pagina facebook del blog se qualcuno che ci era andato avesse avuto voglia di raccontare la sua esperienza. Ha risposto all’appello Alessia Fortunato, che ringrazio moltissimo. Ecco quindi il suo resoconto: buona lettura!

Una piccola premessa: personalmente ho soltanto aggiunto qualche “a capo” e corretto qualche accento. La forma e i contenuti dell’articolo rappresentano unicamente l’opinione dell’autrice.

Le Giornate della Traduzione sono state organizzate e presiedute da Ilide Carmignani e Stefano Arduini, con varie illustri guest star che hanno contribuito a rendere questa esperienza molto completa e accattivante. Siamo partiti nel primo pomeriggio di venerdì 26 Settembre con i consueti saluti e presentazioni, immediatamente seguiti dalla presentazione di “Libro”, ad opera di Gian Arturo Ferrari, e fin qui siamo ancora nell’ambito del vago.

Intanto l’aula magna di Palazzo Battiferri si è riempita sempre di più: studenti del posto e non, traduttori alle prime armi, traduttori meno noti e volti più o meno conosciuti. Interessante la tavola rotonda tenuta sulla crisi dell’editoria, dettata dall’avvento dell’ebook, che se riduce i costi di produzione, riduce anche i guadagni senza per questo ridimensionare i collaboratori che prendono parte al processo di pubblicazione. In quella sede Ilide Carmignani ha chiesto l’intervento di Martina Testa (Minimum Fax), Luca Formenton (Il Saggiatore), Mariagrazia Mazzitelli (Salani) e Paolo Repetti (Einaudi Stile Libero), per sentire il parere di case editrici più o meno grandi. Il risultato è abbastanza ovvio: gli editori più piccoli, in situazioni di difficoltà economica, hanno come ultimo “pensiero” proprio pagare i traduttori.

Da qui l’intervento (personalmente assai poco gradito) di una persona dalla platea, non so chi fosse ma a quanto pare una traduttrice piuttosto affermata, che rivendicava come risoluzione della crisi un ritorno alla “vera qualità” di “loro”, i traduttori dai nomi altisonanti le cui cartelle costano non meno di 18 € l’una, che ovviamente in una contingenza economica come questa, a meno che non si tratti di grandi classici, finiscono per lasciare il posto a noi “giovinastri” che sinonimo di qualità a quanto pare non siamo. L’intervento non è stato condiviso né dalla signora Mazzitelli né dalla signora Testa, ma non c’è stato il tempo per rispondere adeguatamente in quanto si era andati oltre l’orario consentito.

Ammetto di aver saltato la Lectio Magistralis di Giuseppe Antonelli “Hai parlato come un libro stampato!”, perché di lì a poco iniziava il mio seminario e dovevo spostarmi in tempi brevi. Ho seguito “Quando il rosa si tinge di giallo” di Alessandra Roccato (Harlequin Mondadori), un interessantissimo momento di confronto sul romanzo che sta tornando nuovamente di moda, di cui la Roccato ha elencato i punti chiave e le linee guida con grande chiarezza e semplicità. Metà del seminario è stato un confronto su quattro pagine che ci era stato chiesto di tradurre, e che abbiamo affrontato tutti insieme per snodare i punti più ostici e capire anche quando è il caso di sacrificare troppa precisione a beneficio di una buona resa emotiva.

Sabato 27 si è aperto con un’altra bordata di seminari, io ho partecipato a “Il ruolo del traduttore all’interno della macchina editoriale” tenuto da Martina Testa, che oltre a chiarire i meccanismi dell’editoria, ha dato una serie di brillanti consigli per ottenere l’attenzione delle case editrici: per chi ha esperienza, insistere sulle pubblicazioni nel curriculum, per chi non ne ha (in realtà mi approprio anche io di questo consiglio), invece del mero invio del curriculum, che sa di passivo, mandare vere e proprie proposte editoriali con tanto di scheda recensiva, sample e proiezioni di vendita dell’opera inedita in Italia.

A seguire, mi cospargo il capo di cenere, ma non saprei riferirvi niente della lezione di etimologia di Alberto Nocentini (Le Monnier) perché è stata abbastanza… sterile? Noiosissima? Ovviamente è un parere personale. Viceversa l’ora successiva è stata un tuffo nella traduzione ai limiti della filologia assieme a Michele Mari, che ci ha raccontato di come il suo amore per Stevenson e L’isola del tesoro lo abbia portato ad accettare la traduzione di un sequel (ovviamente non scritto da Stevenson) che riportava delle incongruenze con l’originale traduzione degli anni sessanta… problema che la casa editrice ha risolto assegnando una nuova traduzione di Stevenson proprio a Mari, per la sua grande gioia.

Dopo il momento dedicato alle premiazioni (Francesca Sassi per Harlequin Mondadori e Anna Ravano per il premio Zanichelli) e lo stacco, riprendono i seminari. Questa volta tre di fila, ancora una volta se ne potevano scegliere solo tre, e i miei hanno anche avuto la fortuna di essere in due sedi diverse, quindi… ho mantenuto la forma! Il primo, “Traduzioni impossibili. Ambiguità e giochi di lingue nell’Ulisse di James Joyce”, è stato tenuto da Fabio Pedone ed Enrico Terrinoni, che ha ritradotto l’opera nel 2013. Ammetto di aver seguito solo per esigenze legate alla traduzione a cui lavoro al momento, non sono una fan di Joyce né del suo genere, ma ho comunque ascoltato con molto interesse l’approccio dinamico con cui Terrinoni si è avvicinato a Joyce riscoprendone l’aspetto ribelle e tipicamente irlandese con il suo “dublineese”.

Poi è stata la volta di un brillantissimo Daniele Gewurz su “Come comportarsi di fronte agli errori dell’originale”: consigli, suggerimenti e aneddoti più o meno famosi. Gewurz ci suggerisce sempre e ecomunque un contatto o diretto con l’autore o altrimenti con l’editore, a cui va segnalato qualsiasi tipo di intervento, sia che decidiamo di risolvere noi, sia che ci limitiamo a segnalarlo ai revisori. Gli ultimi dieci minuti sono stati un divertente confronto di esperienze per raccontare di strilloni in pieno medioevo, cioccolate calde che diventano tazzoni di latte, terzine con quattro versi, e chi più ne ha più ne metta.

Dulcis in fundo, per me, “Storia di un ruttino. Tradurre ‘versi’ per bambini” di Franco Nasi. Un’ora splendida in cui un fantastico Nasi (adoro la sua pronuncia british) ci ha spiegato come si è approcciato ai giochi di parole e suoni per tradurre le poesie per bambini, e in particolare quelle musicali (nonché illustrate dallo stesso autore) di Roger McGough. Altissima la qualità della lezione, le poesie erano veramente belle e nonostante fosse poesia, Nasi si è concentrato sull’importanza della musicalità e del ritmo che è tanto caro anche alla narrativa in prosa curata dalla maggior parte di noi. Molto, molto piacevole e interessante scoprire i giochi di suoni e parole che anche l’Italiano può offrire, seppur con qualche sforzo in più rispetto alla più semplice base inglese.

Domenica mattina avrei dovuto seguire il seminario di Bartocci in due moduli sulle “Problematiche linguistiche e traduttive trasversali ai generi letterari. Analisi e possibili soluzioni”, ma purtroppo è stato annullato il giorno prima. I seminari in alternativa li avevo già seguiti, così ne ho approfittato per tornare alla stazione di Pesaro senza fare le corse.

Un’esperienza molto appassionante e coinvolgente, soprattutto i seminari con i relativi momenti di confronto, proprio per noi che come punto di riferimento abbiamo spesso e volentieri solo lo schermo di un pc, è stato veramente piacevole. La consiglio a tutti, tanto si ripete con cadenza annuale, ed è anche utile ai fini curricolari (per gli studenti di lingue, l’attestato di partecipazione vale anche 2 CFU).

Alessia Fortunato

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Salone del libro 2014 – il mio resoconto (seconda parte)

La folla in sala professionale… Ci sono anch’io in un angolino. foto @l’AutoreInvisibile

Ed eccoci alla seconda parte del mio resoconto sul Salone del libro di Torino; se vi siete persi la prima la trovate qui. Siccome venerdì non ho partecipato all’incontro Tradurre Harry Potter (va bene, lo ammetto, non l’ho neppure mai letto: lo so, lo so, non ditemi niente) ma magari a qualcuno interessa sapere com’è andato, aggiungo anche il link all’articolo di Bookblog che ne parla. Passiamo ora ai seminari di sabato.

Un incontro che mi interessava molto e che alla fine ha fatto un po’ discutere è stato Valutare un saggio di traduzione. Le prove di traduzione sono sempre un argomento spinoso, ma se Grazia Giua di Einaudi ed Ena Marchi di Adelphi hanno cercato di spiegare i loro criteri per valutarle, mentre Federica Magro di RCS ha parlato poco delle prove e molto dei service editoriali, argomento non proprio inerente al tema del seminario. Ma andiamo con ordine.

Grazia Giua ha segnalato alcune parole chiave: responsabilità, nel senso che un editore deve assegnare le prove in modo mirato, a fronte di un incarico reale, dato che un traduttore può essere ottimo per un certo libro e inadatto a un altro; mentre la responsabilità del traduttore è principalmente l’autorialità, ossia consegnare una prova svolta interamente da lui/lei, e non imbrogliare solo per ottenere l’incarico. Investimento: la prova è un costo per tutti, in termini di tempo e denaro, ma l’editore la fa per crearsi un network di traduttori a cui attingere anche per altri testi. Remunerazione: il traduttore ha il diritto di ricevere un feedback ragionato, anche nel caso non venisse scelto. Mediazione: fondamentalmente il dilemma della correttezza formale vs. l’espressività di un testo in traduzione.

Anche Ena Marchi crede nel rapporto stretto fra editor e traduttore, e nell’ambito dei corsi di traduzione preferisce quelli che permettono un rapporto tutoriale fra “esperto” e “allievo” (che poi è il principio base del corso Tradurre per l’editoria di La Matita Rossa, non per farmi pubblicità :P ). Sapere perché si sbaglia è fondamentale, ed essere “bocciati” a una prova di traduzione vuol solo dire che non eravamo adatti a quel libro in particolare, non vengono messe in dubbio le nostre capacità traduttive (non sempre, insomma). È possibile inoltre richiedere una seconda prova, perché la traduzione non è una scienza esatta: può darsi che un altro libro si riveli più congeniale alla nostra voce.

Ha poi preso la parola Federica Magro, che ha voluto spostare il discorso sulla saggistica, ma senza affrontare il tema delle prove di traduzione. Il suo consiglio per gli aspiranti traduttori di proporsi ai service editoriali, di cui molte case editrici fanno largo uso, mi ha lasciata un po’ perplessa. La sensazione è che gli editori siano completamente scollegati dalla vita reale dei traduttori e non sappiano che questi service, che garantiscono traduzioni veloci e a costi contenuti, pagano i traduttori un pezzo di pane e li fanno lavorare con tempistiche disumane. Per fortuna è intervenuta una traduttrice, di cui purtroppo non ho afferrato il nome, che ha sottolineato questo aspetto poco pulito dei service. Federica Magro ha tentato di recuperare assicurando che loro si rivolgono a service molto seri, ma in sala si percepiva un certo scetticismo. Del resto, già i traduttori vengono pagati poco se lavorano direttamente per gli editori, se c’è un passaggio in più (e sicuramente il service qualcosa ci deve guadagnare) quanto potrà convenire a un traduttore lavorare così?

L’incontro si è chiuso con un’ulteriore nota di pessimismo: alla domanda di Ilide Carmignani su come un giovane traduttore possa proporsi per una prova di traduzione, tutte e tre le editor hanno risposto: non cominciate da noi. Insomma, il caro vecchio “dovete avere esperienza, ma noi non ve la facciamo fare”. Un po’ di amaro in bocca, dunque, per un incontro che aveva grandi potenzialità ma che si è rivelato utile solo nella teoria di una situazione ideale, quella di un traduttore già affermato (ebbene sì, anche i traduttori già noti affrontano prove di traduzione, per capire se sono adatti a un libro in particolare). L’unica conclusione da trarre è che è meglio cominciare a proporsi alle case editrici medio-piccole.

L’incontro successivo era Tradurre il ritmo della prosa, con Franco Buffoni e Donata Feroldi. È stato molto interessante, anche se alcuni degli esempi proposti mi sono sembrati un po’ troppo aderenti all’originale, al contrario di quanto veniva detto durante l’incontro. In sostanza, il concetto è che il ritmo delle frasi è importante quanto il loro significato. Non bisogna riprodurre quello dell’originale, ma trovare il respiro del testo che stiamo producendo: il ritmo coincide con la soggettività, e l’incipit è il momento in cui questo respiro si manifesta. Esiste il discorso, non le singole parole, ed è in base a questo che dobbiamo trovare la musicalità del testo, a livello prosodico, di punteggiatura e di ordine delle parole. Anche le assenze, i vuoti, fanno parte del ritmo. Buffoni ha sottolineato che con “ritmo” non si intende il metro poetico: la differenza non è fra poesia e prosa, ma tra buona scrittura, che ha una sua musicalità, e scrittura mediocre.

Passiamo a L’italiano letterario delle redazioni editoriali, incontro che sono riuscita a seguire solo in parte. Giuseppe Antonelli ha sottolineato come il concetto di “giusto” sia diverso da quello di “esatto”: bisogna perseguire la precisione, non l’esattezza, che se portata all’estremo si trasforma in un “esattismo”. Ha anche ricordato come spesso per fare bella figura si tenda ad alzare il registro (effettuare al posto di fare, recarsi invece di andare, e così via), in nome di un perbenismo linguistico non troppo apprezzabile. Negli ultimi dieci-quindici anni, secondo Antonelli, si è andati verso una sorta di grammaticalizzazione della lingua, che viene spesso gonfiata in cerca di effetti speciali, atteggiamento tipico di chi non la conosce bene e cerca di darsi un tono.

È poi intervenuta Mariarosa Bricchi, che ha parlato di permeabilità della lingua: in un ambiente chiuso come una redazione si tende a creare un linguaggio interno condiviso da chi ci lavora. Le revisioni spesso riflettono l’idea di lingua che ha l’editor, ma bisogna esserne consapevoli e saper rispettare il lavoro altrui. È stato poi sottolineato che il congiuntivo non è in via d’estinzione, anzi, spesso viene usato a sproposito. In un testo, le parole non devono essere la veste ma il corpo: inutile abbellire, adornare, arricchire a sproposito se sotto non c’è nulla.

Ho poi seguito anche Tradurre Leonard Cohen, ma la traduzione di poesie non è decisamente il mio forte. L’incontro è stato interessante, ma mi è difficile farne un riassunto. Sono state lette alcune poesie in lingua originale e le loro traduzioni italiane, e Giancarlo De Cataldo e Damiano Abeni hanno raccontato alcuni aneddoti riguardo al loro lavoro di traduzione.

Per finire ho ascoltato Susanna Basso parlare di Tradurre Alice Munro, ma anche qui è impossibile trasmettere in poche parole tutto ciò che è stato detto da questa donna eccezionale. Per fortuna il testo dell’incontro è disponibile online sul sito della rivista Tradurre.

Sabato ho concluso la giornata letteraria andando in centro a Torino, a Il Camaleonte Piola, a sentire la seconda presentazione condotta dalla mia amica Lettrice Rampante. Stavolta toccava a Iddu. Dieci vite per il dio del fuoco, di Andrea Vismara, sempre di Spartaco Edizioni, e nonostante il pubblico non fosse numeroso – o forse proprio per questo – è stato bello, si respirava la voglia di conoscere storie nuove. Spesso i piccoli editori riservano belle sorprese, quindi non sottovalutiamoli, anche se molti non traducono.

Quest’anno non ho fatto il consueto giro per chiedere i contatti agli editori. Non perché credo sia inutile, ma perché al momento per fortuna sto lavorando parecchio, e in ogni caso ho ancora tutti i contatti raccolti l’anno scorso. Non ho neppure fatto molti acquisti, un po’ per via dei pochi sconti che si trovavano agli stand, un po’ perché tra un incontro e l’altro non ho avuto moltissimo tempo per girare. Anche se il bello del salone è proprio questo, perdersi fra pagine e copertine, magari evitando accuratamente gli stand dei grossi editori, che tra luci accecanti, fascette esagerate e copertine tutte uguali assomigliano più a centri commerciali che a poli culturali. Non tutto positivo al 100%, anche considerando che all’interno del Salone i cellulari prendevano a singhiozzo e internet pure, e la sala “professionale” (modificata dal terribile calco “professionali” dell’anno scorso, ma anche “sala professionale” non è che abbia molto senso) era difficile da trovare, piccola e rumorosa come al solito. Ma sono contenta di esserci andata.

Il mio Salone si è concluso domenica, anche se non sono riuscita a seguire l’evento che avevo in programma perché ho dovuto passare mezza giornata in casa editrice… Curiosi? Al prossimo post!

 

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Salone del libro 2014 – il mio resoconto (prima parte)

IMAG3076[1]Quando sono entrata al Salone del libro il primo giorno, giovedì, la cosa che mi ha subito colpita è stata il profumo della carta. Nei giorni successivi non l’ho più sentito, non so se per via della folla o perché mi ero ormai assuefatta, ma giovedì è stato come entrare in un enorme libro, col naso puntato in avanti e le narici che fremevano di piacere.

Avevo elencato gli incontri che mi sarebbe piaciuto seguire, ma per svariati motivi (perlopiù lavorativi, poi vi racconterò) ne ho saltati alcuni e aggiunti altri. Ecco dunque il resoconto del “mio” Salone del libro.

Giovedì ho saltato il primo incontro, Lavorare nell’editoria oggi, ma mi hanno riferito che non mi sono persa granché. Se qualcuno di voi c’era, batta un colpo e mi faccia sapere! Il primo incontro che sono riuscita a seguire è stato Traduttore e revisore a confronto. Matteo Colombo dialogava con Anna Nadotti sulla nuova traduzione del Giovane Holden appena uscita per Einaudi, e Chiara Spallino parlava con Elena Loewenthal di un libro su una famiglia ebrea, di cui purtroppo non ho afferrato il titolo. Tuttavia quest’ultimo intervento ha un po’ perso di vista l’argomento del seminario, concentrandosi sulle difficoltà della lingua ebraica, per poi essere eclissato dalla verve della coppia Colombo-Nadotti. Impossibile riassumere tutto ciò che hanno detto, dimostrandosi davvero appassionati e competenti, ma vi consiglio caldamente di dare un’occhiata al loro frizzante epistolario pubblicato sul sito Einaudi, in cui raccontano le varie fasi del loro lavoro di traduzione e revisione. Il dialogo con un buon editor è una parte meravigliosa del lavoro di traduzione, ho avuto anch’io questa fortuna con il libro su cui sto lavorando al momento, e presto vi racconterò la mia esperienza.

Ma torniamo al Salone: dopo un primo giro fra gli stand, ho seguito La traduzione saggistica e scientifica divulgativa. Ho preso un bel po’ di appunti, ma cercherò di farla breve: Isabella Blum ha ricordato come per tradurre saggistica – ambito troppo spesso sottovalutato dagli aspiranti traduttori – sia necessario saper dominare il tema, che non vuol dire conoscerlo a menadito fin da subito ma saper svolgere ricerche appropriate. Bisogna sempre essere consapevoli delle proprie lacune, e saperle colmare. Ha poi sottolineato che spesso si fraintende la facilità del testo finale: scrivere in modo semplice e comprensibile comporta notevoli difficoltà. Enrico Casadei, di Codice edizioni, ha ribadito che a un buon traduttore di saggistica si richiede soprattutto versatilità, ossia la capacità di dominare testi che spesso riguardano discipline ibride. Non tutti i testi di saggistica sono settoriali al 100%, e del resto un esperto in una certa materia non è necessariamente un bravo traduttore. Occorre dunque essere in grado di sviluppare un metodo, più che specializzarsi in un campo circoscritto. Michele Luzzatto, di Bollati-Boringhieri, ha elencato tre capacità fondamentali per un traduttore di saggistica: prima di tutto saper scrivere bene in italiano, poi conoscere abbastanza bene l’argomento di cui si parla e avere una cultura abbastanza ampia, e solo in ultima posizione conoscere la lingua di partenza. Anche Michele Riva ha parlato di competenze e della capacità di ricercare fatti e informazioni, di sapersi muovere bene nell’argomento e di cogliere il modo in cui viene usata la lingua.

Il venerdì ho seguito Lo scrittore e i suoi traduttori – Barbara Ivancic dialoga con Ilide Carmignani, ma sinceramente questi incontri “monografici” non mi dicono un granché. È stato più interessante l’incontro successivo, Editori, lettori, traduttori: nuovi ruoli nell’esperienza digitale. Edoardo Brugnatelli ha dato qualche consiglio utile agli aspiranti traduttori: prima di tutto considerare gli e-book e l’autopubblicazione una risorsa, poiché pare che molti si mettano a scrivere in tarda età, abbiano grosse disponibilità finanziarie e sarebbero felici di vedere tradotte le loro opere. Un punto di partenza per scoprire autori da tradurre senza passare attraverso le case editrici è Babelcube, un sito internazionale che mette in comunicazione autori e traduttori. Ha poi consigliato di leggere questo articolo di Will Self sul Guardian e Is That a Fish in Your Ear? di David Bellos. Secondo Brugnatelli, inoltre, l’e-reader non avrà vita lunga perché è un apparecchio che permette di fare una sola cosa, mentre oggi la tendenza è di accentrare molteplici funzioni su un solo dispositivo. Di conseguenza, per un editore la concorrenza non saranno più gli altri editori, ma tutte le altre funzioni svolte da questi dispositivi: film, musica, giochi e distrazioni varie.

Ha poi parlato dell’acquisizione di aNobii da parte di Mondadori, ed è stato molto interessante sentire alcune delle novità che hanno intenzione di inserire sul sito: per esempio, nella scheda dei libri sarà possibile per il traduttore di una determinata opera inserire una propria nota alla traduzione. A me sembra una bellissima idea! Ci saranno poi dei collegamenti fra il sito e il proprio e-reader per inserire direttamente delle note durante la lettura. Insomma, secondo Brugnatelli, nonostante si sia parlato molto male di questa mossa, a Mondadori interessa aNobii più che altro perché sapere cosa dicono i lettori è una grande risorsa per un editore. Sarà vero? In ogni caso, un traduttore oggi deve essere più che mai in grado di dominare gli strumenti informatici e il web.

Per concludere il venerdì, sono andata a sentire la presentazione del libro Le giocatrici, di Marilena Lucente, pubblicato da Edizioni Spartaco, non tanto perché mi interessasse l’argomento quanto perché a presentare c’era la mia grande amica La Lettrice Rampante, che se l’è cavata alla grande :)

Mi rendo conto che questo post rischia di diventare infinito, quindi per oggi mi fermo qui. A prestissimo con la seconda parte del mio resoconto, riguardo agli incontri di sabato (domenica ero al salone ma non sono riuscita a seguire nulla).

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La traduzione al Salone del Libro 2014

Come spero tutti sappiate, questo fine settimana, da giovedì 8 a lunedì 12 maggio, si terrà il Salone Internazionale del Libro di Torino. Essendo uno dei principali appuntamenti del mondo dell’editoria in Italia, è un’occasione da non perdere. Come ho già detto più volte, per esempio nel mio report del Salone dell’anno scorso, le fiere del libro sono un appuntamento importante per i traduttori: per incontrare editori e addetti ai lavori, per sfogliare i libri, per immergersi nel mondo della letteratura e soprattutto per sentirsi meno soli. E non dimenticate che i traduttori entrano con lo sconto!

Anche quest’anno, infatti, sono numerosi gli incontri dedicati alla nostra professione, quasi tutti a cura dell’Autore Invisibile di Ilide Carmignani e della rivista Tradurre di Paola Mazzarelli.

Ecco il link a cui potete trovare tutti gli incontri sulla traduzione: http://www.salonelibro.it/it/programma/categoryevents/4519-Tipologie.html

Poiché quest’anno il sito non mi sembra fatto un granché bene, nel senso che non è molto chiaro di cosa tratteranno i singoli seminari, mi sono fatta un elenco personale di quelli che probabilmente seguirò, e se ci sarete vi invito a battere un colpo! Ecco quando pianterò le tende nella Sala Professionali (e già su questo “professionali” ricalcato dall’inglese ci sarebbe molto da discutere…). Ovviamente si tratta di scelte personali e mi riservo di cambiare idea all’ultimo momento, aggiungendone o togliendone qualcuno a seconda della voglia che avrò di sedermi ad ascoltare o di perdermi fra gli stand.

GIOVEDÌ 8 MAGGIO

Ore 12 – Sala professionali
Lavorare nell’editoria oggi
Rossella Bernascone, Luisa Capelli, Ilide Carmignani, Richard Dixon, Marina Morpurgo

Ore 14 – Sala professionali
Traduttore e redattore a confronto
Ilide Carmignani, Matteo Colombo, Elena Loewenthal, Anna Nadotti, Chiara Spallino

Ore 17 – Sala professionali
La traduzione saggistica e divulgativa
Isabella Blum, Ilide Carmignani, Enrico Casadei, Michele Luzzatto, Michele Riva

Ore 18 – Spazio autori
Daniele Petruccioli alla rincorsa di Dulce Maria Cardoso (Voland)
Paola Mazzarelli, Daniele Petruccioli

 

VENERDÌ 9 MAGGIO

Ore 15 – Sala professionali
Editori, lettori, traduttori: nuovi ruoli nell’esperienza digitale
Edoardo Brugnatelli, Sandra Furlan

 

SABATO 10 MAGGIO

ore 11.00 – Sala Professionali
Valutare un saggio di traduzione
Ilide Carmignani, Grazia Giua, Federica Magro, Ena Marchi

ore 12.30 – Sala Professionali
Tradurre il ritmo della prosa
Franco Buffoni, Donata Feroldi

ore 14.00 – Sala Professionali
L’italiano letterario delle redazioni editoriali
Giuseppe Antonelli, Mariarosa Bricchi, Ilide Carmignani, Alberto Rollo

ore 16.30 – Sala Professionali
Tradurre Alice Munro
Susanna Basso

 

DOMENICA 11 MAGGIO
ore 13.00 – Sala Blu
Traduttore, traditore? Tradimento, gradimento! – Grandi ospiti
Lectio magistralis di Douglas Hofstadter

 

Buon Salone a tutti!

 

 

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Tradurre per l’editoria. Corso base.

libroUltimamente i corsi di  traduzione si sono moltiplicati, offrendo ciascuno una formula diversa per andare incontro alle necessità delle moltissime persone che sognano di diventare traduttori.

Come orientarsi in questa giungla? Il mio consiglio è sempre di seguire corsi organizzati da chi svolge già questo mestiere, perché la teoria insegnata da professori universitari e studiosi di linguistica serve solo fino a un certo punto: quello che conta davvero oggi sono le esperienze reali, le testimonianze, la conoscenza del mondo editoriale dall’interno.

All’università ho seguito corsi di traduzione tenuti da professori sicuramente preparatissimi, ma che non avevano mai tradotto una parola al di fuori dell’ambito accademico. Manco a dirlo, più di qualsiasi lezione approfondita sulle teorie di Jakobson, Steiner, Newman o chi per essi, mi sono servite le ore passate a lavorare sui testi in compagnia di traduttori editoriali già affermati, quando ne ho avuta l’occasione.

Per questo, quando mi è stato proposto di tenere parte di un corso di traduzione ho subito pensato che l’esperienza in questo campo vale più di qualsiasi titolo accademico. Certo, una laurea magistrale in traduzione ce l’ho, ma soprattutto negli ultimi anni ho tradotto quasi esclusivamente per l’editoria, sia opere di narrativa sia di saggistica.

Il corso di cui parlo è organizzato dal service editoriale La Matita Rossa, con il cui blog collaboro già da un po’. Si intitola semplicemente Tradurre per l’editoria. Corso base, perché in fondo i giri di parole non sono necessari: l’obiettivo del corso è fornire strumenti e informazioni a chi desidera intraprendere questa strada difficile ma affascinante, da un punto di vista estremamente pratico e realistico. Il corso riguarda la traduzione editoriale dall’inglese e si svolgerà totalmente online, per venire incontro a chi non può spostarsi o ha orari incompatibili con le lezioni in aula: ogni settimana verrà inviata una dispensa su un particolare argomento, con spiegazioni ed esercizi, e poi ogni allievo potrà confrontarsi con il docente in chat, per discutere le strategie traduttive impiegate nell’esercitazione, ricevere consigli e fare domande.

Ecco il programma del corso, che costa 160 euro e comprende, oltre alle 12 lezioni, 6 ore di tutoraggio via chat (mezz’ora alla settimana), correzione degli esercizi da parte dei docenti e approfondimenti con interviste a esperti del settore.

  • TRADURRE NARRATIVA (3 lezioni) 
  • TRADURRE SAGGISTICA (3 lezioni)
  • IL LAVORO REDAZIONALE Editing e correzione di bozze (2 lezioni)
  • SCELTE DI TRADUZIONE (1 lezione)
  • SUPPORTI ALLA TRADUZIONE web, dizionari (1 lezione)
  • TRADURRE PER MESTIERE Aspetti legali e fiscali del lavoro di traduttore (2 lezioni)

Come potete notare, si tratta di un corso base ma che mira a fornire una panoramica di tutto ciò che è assolutamente necessario sapere per diventare traduttori.

L’ammissione al corso è subordinata a una breve prova di traduzione (gratuita). È necessario preiscriversi compilando l’apposito modulo. Sul sito potete anche trovare tutte le informazioni sul corso e sui docenti.

Se avete qualche domanda, sono a vostra disposizione. E ovviamente alla fine del corso aspetto commenti, impressioni e suggerimenti: il confronto con le opinioni altrui è fondamentale per un buon traduttore.

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I periodi di inattività

Mi sembra strano parlare di inattività in un momento in cui ho appena consegnato un lavoro e ho un’altra scadenza a breve, e nel frattempo ovviamente insegno perché di sola traduzione non si vive, eppure eccomi qua.

Nella vita di un traduttore capitano (più spesso all’inizio, si spera meno spesso dopo un po’ che si lavora nel campo) dei periodi in cui vedersi affidare una traduzione sembra un miraggio degno del deserto più bollente. Ovviamente, non appena passerà questo momento vi arriveranno tre offerte insieme e dovrete lavorare giorno e notte, quindi innanzitutto riposatevi.

Ma non state con le mani in mano: ci sono molte cose che possiamo fare nei periodi di inattività (a parte cercarci un altro lavoro, ovvio). Innanzitutto, perché non approfittarne per spulciare un po’ i cataloghi stranieri e prepararsi una bella proposta di traduzione? È una cosa che porta via moltissimo tempo se vogliamo farla bene, quindi un periodo in cui non si lavora è perfetto. Dedicate un po’ di tempo anche alla ricerca delle case editrici a cui affidarla, studiando bene le loro collane e le pubblicazioni precedenti.

La seconda cosa che possiamo fare, anzi, forse dovrebbe essere la prima, è mandare curricula a raffica. Non disperate mai: a me è capitato da poco di ricevere una telefonata da una piccola casa editrice a cui non ricordavo nemmeno di aver inviato il cv. Mandare proposte di traduzione aumenta le vostre possibilità di essere notati, soprattutto se il vostro cv è ancora mezzo vuoto, ma non è l’unica via: mai arrendersi!

E poi, che altro si può fare? Informarsi. Leggere le riviste letterarie (prossimamente arriverà un post in cui ve ne consiglio alcune), il sito di STradE con la relativa rivista, quello di Biblit (davvero fondamentale e ricco di spunti!), i vari forum di traduttori che esistono in rete, i blog di traduttori ed editori, i giornali letterari stranieri, i siti delle associazioni come AITI e chi più ne ha più ne metta. Ci vuole una quantità di tempo davvero impressionante, ma alla fine riuscirete a crearvi una vostra piccola “sitografia” da consultare in ogni momento libero.

Un’altra cosa da fare, e non certo meno importante delle altre, è leggere. Non si può fare il traduttore se non si legge moltissimo, e per moltissimo intendo che non c’è mai un periodo, neppure una mezza giornata, in cui non avete un libro in corso di lettura. Quando studiavo all’università, a volte arrivavo in anticipo alle lezioni e mi sedevo in corridoio a leggere. Ebbene, più di una volta mi è capitato di sentire alcuni compagni (che non conoscevo, altrimenti gliene avrei dette quattro) lamentarsi del fatto che i professori dicessero che non leggiamo abbastanza. La loro giustificazione era: passo già tutto il tempo sui libri di testo, quando lo trovo il tempo di leggere altro? Beh, carissimi, se frequentate un corso di traduzione e non leggete, non so proprio che dirvi. Il tempo di leggere, se si vuole, si trova sempre. Non è che sia una gara a chi legge di più, non dico di divorare libri indiscriminatamente solo per ingrossare le vostre librerie virtuali su aNobii e Goodreads e farvi belli con gli amici, ma la lettura, per un traduttore, oltre a un lavoro deve essere una grandissima passione. Ora la smetto, prima di infervorarmi!

Oppure, perché non cercare un bel corso di traduzione, un workshop, un ciclo di seminari o anche solo una giornata dedicata all’approfondimento di questo mestiere? Soprattutto all’inizio, è molto utile sentire il parere di chi lavora in questo ambiente da molti anni e sa come girano le cose. È consigliabile sapere come funziona il mondo dell’editoria, se vogliamo farne parte. Qualunque cosa può tornare utile, quindi, soldi e tempo permettendo, l’ideale sarebbe ascoltare quanti più punti di vista possibile. Attenti a non farvi infinocchiare, però: ultimamente i corsi di traduzione sono spuntati come funghi, e molti sono soltanto specchietti per le allodole che fanno entrare dei bei soldoni nelle tasche di editori e agenzie. Scegliete con oculatezza e informatevi sempre su internet o cercando gli allievi delle edizioni precedenti: frugando un po’ in rete si trovano sempre dei pareri riguardo ai corsi. E se non ne trovate, beh, fatevi due domande. Se non sapete da dove cominciare, su Biblit trovate un elenco di corsi da spulciare un po’.

Ecco qui, direi che il nostro periodo di inattività – augurandoci che non si protragga troppo – si è riempito abbastanza. Ovviamente, tenete per tutto il tempo le dita incrociate, ma mai ferme!

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Workshop di editing (minimum fax, Roma 14-16 dicembre 2012)

Come vi avevo anticipato, questo fine settimana ho partecipato al workshop di editing organzzato dalla casa editrice minimum fax.
Questo blog parla prevalentemente di traduzione letteraria, ma di solito chi aspira a diventare traduttore è interessato a tutti gli aspetti del mondo editoriale, quindi un resoconto di questo workshop potrebbe essere interessante per qualcuno.

Com’è stato, dunque? Il primo aggettivo che mi viene in mente: stimolante. Il coordinatore era Christian Raimo, scrittore, editor, insegnante e chi più ne ha più ne metta. Ho sempre invidiato chi riesce a spaziare e ad allargare i propri orizzonti, e pare che lui ci riesca in pieno. Anzi, è stato proprio questo il suo primo consiglio: leggere di tutto, voracemente, senza limiti autoimposti. Leggere soprattutto testi che non incontrano i nostri gusti o i nostri interessi, o che non fanno parte dell’ambito in cui lavoriamo, per riuscire a crearci un bagaglio culturale il più ampio possibile. Qualche esempio? La poesia può aiutare a comprendere meglio i vari livelli di sperimentazione linguistica, il teatro è utilissimo per il ritmo dei dialoghi, e così via. Che poi è lo stesso consiglio che viene dato durante i corsi di traduzione, non so se mi spiego…

Il workshop era articolato in tre giorni: nel primo incontro abbiamo discusso i compiti e le responsabilità di un editor, partendo da esempi di modelli ideali, che si sono rivelati talenti poliedrici e letterariamente bulimici: come accennato sopra, per poter essere un buon editor (o un buon traduttore) è necessario aver metabolizzato una gran quantità di testi diversi, essere curiosi e aperti, pronti al confronto e all’associazione di idee. Christian ci ha inoltre fornito una serie di spunti riguardo a riviste e siti su cui trovare pareri autorevoli su quel che vale la pena leggere, per tenersi informati sulle novità in campo editoriale. C’è tutto un mondo semisconosciuto in fermento, e vale davvero la pena di approfondire. L’editoria è cambiata completamente nell’ultimo secolo, e ancor di più negli ultimi anni: stare al passo con le nuove iniziative è difficile quanto appassionante.

Ma veniamo all’editing in sé: un editor si occupa sia della selezione sia della cura dei testi. Christian ha fatto un paragone che trovo davvero azzeccatissimo: occuparsi di editing è come sostenere un colloquio con i genitori di un nostro alunno. Essendo anch’io – seppur da poco – un’insegnante, ho capito perfettamente cosa intendesse dire (anche perché l’ha spiegato bene, lo ammetto). L’editor è come un insegnante che si trova a discutere con il genitore di un ragazzo, e quest’ultimo non appartiene a nessuno dei due, ma solo a se stesso e al proprio destino. È nell’interesse di tutti trovare un indirizzo adeguato per il ragazzo, dargli la possibilità di crescere, di dare il meglio di sé, di distinguersi nel mondo. Allo stesso modo, l’autore consegna all’editor un testo che andrà valorizzato con la collaborazione di tutti, senza snaturarlo né dargliela vinta per pigrizia. È compito dell’editor dare indicazioni all’autore affinché il testo migliori. Fare editing è dunque un po’ come educare un testo. E va bene, Christian ce l’ha spiegato meglio, ma il concetto è questo.

La seconda parte del workshop prevedeva che lavorassimo sul testo di un autore italiano, Francesco Longo. Ci è stato consegnato un suo vecchio racconto mai pubblicato e mai revisionato, e per tutta la giornata di sabato abbiamo discusso su come migliorare il testo, su come dare forza ai personaggi, come rendere più realistici certi atteggiamenti e certe situazioni, insomma, come rendere il racconto pubblicabile. Il giorno successivo, Francesco si è prestato al massacro venendo ad ascoltare i nostri commenti. È stato molto utile per noi ma – credo – anche per lui, dato che gli abbiamo fatto notare quali immagini non erano chiare, quali incongruenze avevamo riscontrato e così via. Mettere insieme quindici cervelli non è facile, perché ognuno si crea la propria visione dei personaggi e della storia, ed è molto raro che combaci con quella degli altri. Da qui l’immagine che accompagna il post: a un certo punto ognuno si convince della propria verità e cerca di renderla evidente (per non dire sbatterla in faccia, eravamo quasi tutte donne e non siamo state così violente) agli altri, magari scaldando anche un po’ gli animi, ma non temete: è divertente!

Insomma, sono rimasta davvero soddisfatta da questi tre giorni romani pieni di dialogo, di conversazioni letterarie, di consigli, di speranze e passioni condivise. Se ne avete l’occasione, fateci un pensierino per la prossima volta.

Una piccola postilla:
Da traduttrice, ho sempre visto l’editing come poco più di una correzione di bozze: si può cambiare qualche aggettivo, l’ordine delle parole; anche riscrivere una frase, ma mai cambiarne la sostanza. E in effetti quando si tratta di testi tradotti, quindi già pubblicati in un’altra lingua, il rispetto per le scelte dell’autore è imprescindibile. Questo workshop, invece, era incentrato su testi non ancora pubblicati, quindi da migliorare apportando modifiche anche sostanziali, intervenendo sulla trama e sui personaggi e così via. Io tendo a vedere un testo stampato (anche semplicemente da Word) come sacro, in cui si possono correggere errori e sviste ma intoccabile nella sostanza, pur magari accorgendomi dei suoi difetti. Questo corso mi ha aperto la mente e mi ha messa di fronte al grande potere di migliorare un testo cambiando radicalmente un’immagine, una scena, un personaggio. Non so se arriverò mai a fare un lavoro del genere, ma so che adoro discutere delle infinite possibilità che ci offre la letteratura.

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Vita da traduttori esordienti (ma non solo)

Post breve, solo per darvi un’idea approssimativa di come vive un traduttore esordiente.

Innanzitutto, bisogna avere un altro lavoro. Almeno all’inizio, è praticamente impossibile vivere di sola traduzione letteraria, ed è necessario avere un’altra fonte di reddito. L’ideale sarebbe trovare qualcosa che ci permetta di portare avanti i nostri progetti traduttivi. Per esempio, io insegno inglese in una scuola professionale: non è un impegno a tempo pieno, e mi lascia un bel po’ di libertà, quindi nel frattempo sto portando avanti altri tre progetti paralleli che hanno a che fare con la traduzione e l’editoria, ma di cui preferisco non parlare. Mai riposare sugli allori: bisogna tenersi sempre in movimento, farsi venire nuove idee, creare nuovi progetti, cercare nuove collaborazioni. È quindi necessario saper gestire il proprio tempo, e tra una cosa e l’altra le giornate volano: ecco spiegato il mio assenteismo dell’ultima settimana.

Quand’è che ci si può definire “traduttori”? Io per ora ho tradotto tre romanzi e un ebook, e ancora non mi sento una vera traduttrice, proprio perché le mie giornate sono piene di tante altre attività. Ma magari si può chiamare traduttore anche chi ha trasportato un solo libro nella nostra cultura, nella nostra lingua, nelle nostre librerie. O forse per definirsi traduttore a pieno titolo bisogna aver accumulato una montagna di esperienza, di parole e di difficoltà. Non ho ancora deciso. Nel frattempo cerco di non rinunciare ai sogni.

Inoltre, questo fine settimana andrò a Roma per il workshop di editing organizzato dalla minimum fax: ovviamente al mio ritorno vi racconterò com’è, se ne vale la pena, se è stato utile eccetera, sempre tenendo conto che si tratta di un mini-corso di tre giorni.

Per oggi mi fermo qui, il tempo scarseggia (in arrivo i colloqui con i genitori dei miei studenti, argh) e prometto che prossimamente aggiornerò il blog con qualche post più interessante. A presto!

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Corsi, seminari, workshop e chi più ne ha più ne metta

https://diariodiunatraduttrice.files.wordpress.com/2012/12/f64b8-a4.jpgI corsi per traduttori letterari sono utili? E in che modo, concretamente?

Questo post nasce dalla mia segnalazione, sulla pagina facebook del blog, di un corso per traduttori letterari organizzato dalla Herzog. Una lettrice ha segnalato che l’agenzia letteraria in questione, per esperienze personali e per averlo sentito riferire da altri, non l’ha convinta. Su facebook io segnalo alcuni dei corsi per traduttori disponibili in Italia, ma vi invito calorosamente a controllare sempre e a documentarvi su Internet riguardo alla serietà degli stessi. E, se ne avete esperienza diretta, siete invitati a commentare: questo blog nasce soprattutto come aiuto per i traduttori, quindi diamoci una mano tra di noi, che là fuori è un brutto mondo.

Detto questo, la lettrice di cui sopra ha anche consigliato, in alternativa, il validissimo corso di specializzazione per traduttori editoriali organizzato dall’agenzia TuttoEuropa di Torino: mi sento di condividere appieno il suo consiglio, avendolo frequentato anch’io. Si tratta di un corso gratuito e molto ben organizzato. Ve ne parlo in breve, prima di trattare l’argomento dei corsi in generale.

Il corso è diviso in due parti: la prima di lezioni vere e proprie, e la seconda di “stage”. Lo metto tra virgolette perché non è un vero e proprio stage in agenzia/casa editrice: si tratta di tradurre un libro insieme agli altri partecipanti. Le case editrici che pubblicano questi testi sono piuttosto importanti: Salani, Marcos Y Marcos, minimum fax, Sellerio e così via. Per questa seconda parte è previsto un impegno full time, anche se, trattandosi di traduzione, gran parte del lavoro va svolto a casa, mandando poi un’autocertificazione con il numero di ore in cui si è lavorato. La gentilissima segretaria vi spiegherà comunque tutto con estrema chiarezza.
Per quanto riguarda la prima parte del corso, invece, ovvero quella dedicata alle lezioni frontali, sono previste quattro ore giornaliere (pomeridiane). Le lezioni sono tenute da traduttori tra i più affermati in Italia, come Paola Mazzarelli, Maurizia Balmelli, Maria Nicola, Norman Gobetti, Susanna Basso, Matteo Colombo e molti altri, oltre a esponenti di case editrici importanti come Einaudi, Adelphi, Feltrinelli, Mondadori. È quindi un’ottima occasione per mettersi alla prova e per farsi valutare e consigliare da professionisti del settore. Il corso è organizzato alla perfezione, in modo molto serio, io ne sono stata completamente soddisfatta. Ogni anno vengono avviati due corsi paralleli, uno per la traduzione dall’inglese e l’altro per una lingua a turno tra francese, tedesco e spagnolo. Quest’anno tocca al tedesco, il prossimo allo spagnolo. Ormai per quest’anno i corsi sono già iniziati, ma il prossimo anno vi avviserò qui sul blog dell’apertura delle selezioni. Questa scuola ha l’enorme vantaggio di essere gratuita, e conosco diverse persone che sono venute a Torino apposta per frequentarla: a quanto mi risulta non ne sono rimaste affatto deluse. E, se ve lo state chiedendo, no, nessuno mi paga per fare pubblicità! Se avete domande, sarò lieta di rispondervi.

Ma a cosa servono, concretamente, i corsi di traduzione editoriale?

Per la mia personale esperienza, quelli all’interno dei vari corsi di laurea specialistica servono a ben poco. Le facoltà più prestigiose in questo campo sembrano essere quelle di Forlì e di Trieste, ma non avendole frequentate posso solo dirvi di informarvi sul web.

Diverso è invece il caso dei corsi post-laurea, come quello dell’agenzia TuttoEuropa di cui sopra: si tratta di veri e propri laboratori in cui tutto gira attorno alla traduzione di testi editoriali. Sono certamente più utili dei corsi universitari per quanto riguarda la conoscenza dell’ambiente. E le opportunità lavorative? Beh, quelle non ve le regala nessuno, ovvio. Diciamo che i corsi servono a entrare nel giro, a vedere un po’ come funzionano le dinamiche editoriali, e perché no, a farsi conoscere un pochino: per me è stata un’enorme soddisfazione quando Susanna Basso, alle Giornate della traduzione letteraria di Urbino, mi ha riconosciuta e salutata calorosamente. A proposito dell’università di Urbino, anche a Misano Adriatico si tiene ogni anno un master in traduzione letteraria. A Pisa, invece, c’è un master di II livello in traduzione di testi post coloniali in lingua inglese. Giusto per nominarne alcuni tra i più conosciuti, ma ce ne sono molti altri. Ricordate che insegnare la traduzione letteraria è possibile solo fino a un certo punto: c’è chi è più portato e riesce a far fruttare i preziosi consigli degli insegnanti e chi, per quanto si impegni, non possiede il famoso orecchio del traduttore: frequentare un corso o un master può aiutarvi a scoprirlo e a capire se la traduzione è davvero la vostra strada oppure no.

Il mio consiglio è di valutare attentamente i corsi che potreste seguire cercando su internet le opinioni di chi li ha frequentati, e poi (tempo e denaro permettendo) di buttarvi: ogni esperienza porta con sé qualcosa di positivo, anche se magari non immediatamente spendibile in termini lavorativi. Per esempio, io sto per frequentare un breve workshop di editing organizzato dalla minimum fax: sono sicura che sarà interessante e proficuo, quando tornerò ve ne parlerò!

Ultima informazione, che spero vi sia utile: sul sito di Biblit è presente, sotto il menu risorse – corsi&residenze, un elenco di gran parte dei corsi di traduzione letteraria esistenti in Italia: dateci un’occhiata e informatevi su internet, uno di questi potrebbe essere il vostro trampolino di lancio! Un occhio di riguardo per i corsi che prevedono uno stage finale, anche se il traduttore lavora quasi sempre come collaboratore esterno, quindi non ha molto senso fare uno stage in casa editrice: ma chissà, potreste trovare altri lavori redazionali che fanno per voi. Tenete presente però che, a quanto mi risulta – e aspetto smentite – l’unico corso completamente gratuito è quello organizzato a Torino dall’agenzia TuttoEuropa.

In bocca al lupo, e se avete esperienze o ulteriori informazioni fatemelo sapere!

PS: Ebbene sì, dopo anni di studio e soprattutto di lavoro sul campo sono diventata anche io tutor di un corso di traduzione editoriale: si chiama Tradurre per l’editoria, e sul sito troverete tutte le informazioni necessarie. È improntato sugli esercizi pratici, e insieme a Rossella Monaco di La matita rossa cercherò di trasmettervi un bel po’ di trucchetti del mestiere, oltre a gettare le basi per conoscere il mondo editoriale dall’interno.

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