Non mi metterò a fare bilanci dell’anno appena trascorso perché, come forse tutti i traduttori, ho avuto un anno di alti e bassi: qualcosa di finalmente pubblicato, qualche nuovo lavoro – ma mai abbastanza –, un paio di soddisfazioni e altrettante delusioni. Per il 2013 ho diversi progetti in cantiere, e spero che almeno alcuni vedano la luce.
Nel frattempo, per concludere l’anno con una nota di estrema positività, ecco a voi dieci motivi per NON fare il traduttore:
1. i soldi: batto sempre su questo tasto perché è la vera nota dolente del nostro mestiere. I soldi non sono mai abbastanza, neanche quando si riesce a farsi pagare nei tempi giusti una tariffa decente a cartella, perché è molto, molto raro ricevere un libro dopo l’altro senza soluzione di continuità. Parlo di traduttori emergenti, ovviamente.
2. l’alienazione: un traduttore lavora solo, vive solo, e non può sperare che i suoi compagni di vita capiscano per quale razza di motivo lui/lei attribuisca così tanta importanza alle parole, alla struttura delle frasi, persino alle virgole. È un lavoro da emarginati, diciamocelo. Per fortuna esistono le comunità di traduttori come Biblit, e poi le fiere, i blog, le giornate della traduzione e così via, ma ciò non toglie che nella propria vita quotidiana il traduttore sia fondamentalmente un incompreso.
3. ci vuole un fortissimo spirito di iniziativa: non è che uno se ne sta bello tranquillo nella sua casetta ad aspettare le telefonate degli editori. Non funziona così. Sempre più spesso il traduttore deve diventare uno scout letterario, andarsi a cercare libri che valga la pena tradurre, proporli, sperare, farsi venire delle idee, anche armarsi di faccia tosta. È difficilissimo non abbattersi e trovare sempre modi nuovi per cercare di entrare in questo mondo.
4. non si viene mai assunti: nessuna casa editrice “assume” i propri traduttori, ma li chiama per un libro alla volta: in questo modo, il lavoro non è mai assicurato, neppure dopo aver iniziato a tradurre per qualcuno, neppure con una serie di libri già pubblicati. Certo, se siete bravi, la casa editrice che vi ha dato un libro da tradurre sarà più propensa a darvene altri in seguito, ma non è mica detto.
5. è estremamente difficile entrare nel giro, le case editrici hanno i loro traduttori di fiducia e spesso non hanno nessuna intenzione di provare qualcuno di nuovo, cosa che per quanto ne sanno loro potrebbe richiedere un intervento di editing infinito. Rendiamocene conto, siamo tantissimi, e di bravi traduttori già affermati ce ne sono un bel po’.
6. i committenti della domenica: “tu che fai la traduttrice…”, frase che spesso è preludio della seguente richiesta: non è che mi puoi tradurre questo? Dall’italiano all’inglese, ovviamente. Sono trenta pagine, ce la fai per domani, no? Che vi paghino (poco) o non vi paghino, state alla larga da chi vi chiede un “piccolo favore” che rischia di impegnarvi giorno e notte per ricevere in cambio, nella migliore delle ipotesi, un bel grazie. Ovviamente dare una mano a un amico è lecito e cortese, e tradurre una mail o cose simili è un atto di cortesia poco impegnativo, ma attenti alle esagerazioni.
7. amici e parenti si trasformano in recensori e ti fanno notare refusi e incongruenze con aria soddisfatta: è il rovescio della medaglia. Hai finalmente una tua traduzione pubblicata, scoppi dalla gioia, non hai la minima intenzione di rileggerla perché sai che una virgola scappa sempre, ed ecco che chi ti circonda legge il libro con la precisa intenzione di segnalarti il minimo refuso. Credendo pure di farti un favore.
8. non ci sono orari, né ferie, malattie, maternità e così via. Ovvero, se vai in vacanza oppure ti ammali sono affari tuoi, se non puoi accettare un lavoro in un determinato momento lo perdi e basta.
9. passi mesi a far nulla e mesi in cui non sai più da che parte girarti: ovviamente, tutti i lavori arrivano contemporaneamente (legge di Murphy) e hanno all’incirca la stessa data di consegna: dopodiché, il nulla.
10. se lavori da casa tutti pensano che non lavori: “ah ma quindi lavori da casa? Ma allora non è un vero lavoro, bella la vita così!”. Questa non la commento nemmeno, che è meglio.
Eppure, potreste dirmi, tu questo lavoro lo fai, e vuoi continuare a farlo. E se quanto sopra è vero, allora perché mai uno dovrebbe scegliere di fare il traduttore?
Risposta: perché non se ne può fare a meno.
Buon fine anno a tutti, ci si sente nel 2013, spero con buone notizie!