Archivi del mese: dicembre 2012

Dieci motivi per NON fare il traduttore

417441_436277709793359_851167668_nNon mi metterò a fare bilanci dell’anno appena trascorso perché, come forse tutti i traduttori, ho avuto un anno di alti e bassi: qualcosa di finalmente pubblicato, qualche nuovo lavoro – ma mai abbastanza –, un paio di soddisfazioni e altrettante delusioni. Per il 2013 ho diversi progetti in cantiere, e spero che almeno alcuni vedano la luce.

Nel frattempo, per concludere l’anno con una nota di estrema positività, ecco a voi dieci motivi per NON fare il traduttore:

1. i soldi: batto sempre su questo tasto perché è la vera nota dolente del nostro mestiere. I soldi non sono mai abbastanza, neanche quando si riesce a farsi pagare nei tempi giusti una tariffa decente a cartella, perché è molto, molto raro ricevere un libro dopo l’altro senza soluzione di continuità. Parlo di traduttori emergenti, ovviamente.

2. l’alienazione: un traduttore lavora solo, vive solo, e non può sperare che i suoi compagni di vita capiscano per quale razza di motivo lui/lei attribuisca così tanta importanza alle parole, alla struttura delle frasi, persino alle virgole. È un lavoro da emarginati, diciamocelo. Per fortuna esistono le comunità di traduttori come Biblit, e poi le fiere, i blog, le giornate della traduzione e così via, ma ciò non toglie che nella propria vita quotidiana il traduttore sia fondamentalmente un incompreso.

3. ci vuole un fortissimo spirito di iniziativa: non è che uno se ne sta bello tranquillo nella sua casetta ad aspettare le telefonate degli editori. Non funziona così. Sempre più spesso il traduttore deve diventare uno scout letterario, andarsi a cercare libri che valga la pena tradurre, proporli, sperare, farsi venire delle idee, anche armarsi di faccia tosta. È difficilissimo non abbattersi e trovare sempre modi nuovi per cercare di entrare in questo mondo.

4. non si viene mai assunti: nessuna casa editrice “assume” i propri traduttori, ma li chiama per un libro alla volta: in questo modo, il lavoro non è mai assicurato, neppure dopo aver iniziato a tradurre per qualcuno, neppure con una serie di libri già pubblicati. Certo, se siete bravi, la casa editrice che vi ha dato un libro da tradurre sarà più propensa a darvene altri in seguito, ma non è mica detto.

5. è estremamente difficile entrare nel giro, le case editrici hanno i loro traduttori di fiducia e spesso non hanno nessuna intenzione di provare qualcuno di nuovo, cosa che per quanto ne sanno loro potrebbe richiedere un intervento di editing infinito. Rendiamocene conto, siamo tantissimi, e di bravi traduttori già affermati ce ne sono un bel po’.

6. i committenti della domenica: “tu che fai la traduttrice…”, frase che spesso è preludio della seguente richiesta: non è che mi puoi tradurre questo? Dall’italiano all’inglese, ovviamente. Sono trenta pagine, ce la fai per domani, no? Che vi paghino (poco) o non vi paghino, state alla larga da chi vi chiede un “piccolo favore” che rischia di impegnarvi giorno e notte per ricevere in cambio, nella migliore delle ipotesi, un bel grazie. Ovviamente dare una mano a un amico è lecito e cortese, e tradurre una mail o cose simili è un atto di cortesia poco impegnativo, ma attenti alle esagerazioni.

7. amici e parenti si trasformano in recensori e ti fanno notare refusi e incongruenze con aria soddisfatta: è il rovescio della medaglia. Hai finalmente una tua traduzione pubblicata, scoppi dalla gioia, non hai la minima intenzione di rileggerla perché sai che una virgola scappa sempre, ed ecco che chi ti circonda legge il libro con la precisa intenzione di segnalarti il minimo refuso. Credendo pure di farti un favore.

8. non ci sono orari, né ferie, malattie, maternità e così via. Ovvero, se vai in vacanza oppure ti ammali sono affari tuoi, se non puoi accettare un lavoro in un determinato momento lo perdi e basta.

9. passi mesi a far nulla e mesi in cui non sai più da che parte girarti: ovviamente, tutti i lavori arrivano contemporaneamente (legge di Murphy) e hanno all’incirca la stessa data di consegna: dopodiché, il nulla.

10. se lavori da casa tutti pensano che non lavori: “ah ma quindi lavori da casa? Ma allora non è un vero lavoro, bella la vita così!”. Questa non la commento nemmeno, che è meglio.

 

Eppure, potreste dirmi, tu questo lavoro lo fai, e vuoi continuare a farlo. E se quanto sopra è vero, allora perché mai uno dovrebbe scegliere di fare il traduttore?
Risposta: perché non se ne può fare a meno.

 

Buon fine anno a tutti, ci si sente nel 2013, spero con buone notizie!

 

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Workshop di editing (minimum fax, Roma 14-16 dicembre 2012)

Come vi avevo anticipato, questo fine settimana ho partecipato al workshop di editing organzzato dalla casa editrice minimum fax.
Questo blog parla prevalentemente di traduzione letteraria, ma di solito chi aspira a diventare traduttore è interessato a tutti gli aspetti del mondo editoriale, quindi un resoconto di questo workshop potrebbe essere interessante per qualcuno.

Com’è stato, dunque? Il primo aggettivo che mi viene in mente: stimolante. Il coordinatore era Christian Raimo, scrittore, editor, insegnante e chi più ne ha più ne metta. Ho sempre invidiato chi riesce a spaziare e ad allargare i propri orizzonti, e pare che lui ci riesca in pieno. Anzi, è stato proprio questo il suo primo consiglio: leggere di tutto, voracemente, senza limiti autoimposti. Leggere soprattutto testi che non incontrano i nostri gusti o i nostri interessi, o che non fanno parte dell’ambito in cui lavoriamo, per riuscire a crearci un bagaglio culturale il più ampio possibile. Qualche esempio? La poesia può aiutare a comprendere meglio i vari livelli di sperimentazione linguistica, il teatro è utilissimo per il ritmo dei dialoghi, e così via. Che poi è lo stesso consiglio che viene dato durante i corsi di traduzione, non so se mi spiego…

Il workshop era articolato in tre giorni: nel primo incontro abbiamo discusso i compiti e le responsabilità di un editor, partendo da esempi di modelli ideali, che si sono rivelati talenti poliedrici e letterariamente bulimici: come accennato sopra, per poter essere un buon editor (o un buon traduttore) è necessario aver metabolizzato una gran quantità di testi diversi, essere curiosi e aperti, pronti al confronto e all’associazione di idee. Christian ci ha inoltre fornito una serie di spunti riguardo a riviste e siti su cui trovare pareri autorevoli su quel che vale la pena leggere, per tenersi informati sulle novità in campo editoriale. C’è tutto un mondo semisconosciuto in fermento, e vale davvero la pena di approfondire. L’editoria è cambiata completamente nell’ultimo secolo, e ancor di più negli ultimi anni: stare al passo con le nuove iniziative è difficile quanto appassionante.

Ma veniamo all’editing in sé: un editor si occupa sia della selezione sia della cura dei testi. Christian ha fatto un paragone che trovo davvero azzeccatissimo: occuparsi di editing è come sostenere un colloquio con i genitori di un nostro alunno. Essendo anch’io – seppur da poco – un’insegnante, ho capito perfettamente cosa intendesse dire (anche perché l’ha spiegato bene, lo ammetto). L’editor è come un insegnante che si trova a discutere con il genitore di un ragazzo, e quest’ultimo non appartiene a nessuno dei due, ma solo a se stesso e al proprio destino. È nell’interesse di tutti trovare un indirizzo adeguato per il ragazzo, dargli la possibilità di crescere, di dare il meglio di sé, di distinguersi nel mondo. Allo stesso modo, l’autore consegna all’editor un testo che andrà valorizzato con la collaborazione di tutti, senza snaturarlo né dargliela vinta per pigrizia. È compito dell’editor dare indicazioni all’autore affinché il testo migliori. Fare editing è dunque un po’ come educare un testo. E va bene, Christian ce l’ha spiegato meglio, ma il concetto è questo.

La seconda parte del workshop prevedeva che lavorassimo sul testo di un autore italiano, Francesco Longo. Ci è stato consegnato un suo vecchio racconto mai pubblicato e mai revisionato, e per tutta la giornata di sabato abbiamo discusso su come migliorare il testo, su come dare forza ai personaggi, come rendere più realistici certi atteggiamenti e certe situazioni, insomma, come rendere il racconto pubblicabile. Il giorno successivo, Francesco si è prestato al massacro venendo ad ascoltare i nostri commenti. È stato molto utile per noi ma – credo – anche per lui, dato che gli abbiamo fatto notare quali immagini non erano chiare, quali incongruenze avevamo riscontrato e così via. Mettere insieme quindici cervelli non è facile, perché ognuno si crea la propria visione dei personaggi e della storia, ed è molto raro che combaci con quella degli altri. Da qui l’immagine che accompagna il post: a un certo punto ognuno si convince della propria verità e cerca di renderla evidente (per non dire sbatterla in faccia, eravamo quasi tutte donne e non siamo state così violente) agli altri, magari scaldando anche un po’ gli animi, ma non temete: è divertente!

Insomma, sono rimasta davvero soddisfatta da questi tre giorni romani pieni di dialogo, di conversazioni letterarie, di consigli, di speranze e passioni condivise. Se ne avete l’occasione, fateci un pensierino per la prossima volta.

Una piccola postilla:
Da traduttrice, ho sempre visto l’editing come poco più di una correzione di bozze: si può cambiare qualche aggettivo, l’ordine delle parole; anche riscrivere una frase, ma mai cambiarne la sostanza. E in effetti quando si tratta di testi tradotti, quindi già pubblicati in un’altra lingua, il rispetto per le scelte dell’autore è imprescindibile. Questo workshop, invece, era incentrato su testi non ancora pubblicati, quindi da migliorare apportando modifiche anche sostanziali, intervenendo sulla trama e sui personaggi e così via. Io tendo a vedere un testo stampato (anche semplicemente da Word) come sacro, in cui si possono correggere errori e sviste ma intoccabile nella sostanza, pur magari accorgendomi dei suoi difetti. Questo corso mi ha aperto la mente e mi ha messa di fronte al grande potere di migliorare un testo cambiando radicalmente un’immagine, una scena, un personaggio. Non so se arriverò mai a fare un lavoro del genere, ma so che adoro discutere delle infinite possibilità che ci offre la letteratura.

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Vita da traduttori esordienti (ma non solo)

Post breve, solo per darvi un’idea approssimativa di come vive un traduttore esordiente.

Innanzitutto, bisogna avere un altro lavoro. Almeno all’inizio, è praticamente impossibile vivere di sola traduzione letteraria, ed è necessario avere un’altra fonte di reddito. L’ideale sarebbe trovare qualcosa che ci permetta di portare avanti i nostri progetti traduttivi. Per esempio, io insegno inglese in una scuola professionale: non è un impegno a tempo pieno, e mi lascia un bel po’ di libertà, quindi nel frattempo sto portando avanti altri tre progetti paralleli che hanno a che fare con la traduzione e l’editoria, ma di cui preferisco non parlare. Mai riposare sugli allori: bisogna tenersi sempre in movimento, farsi venire nuove idee, creare nuovi progetti, cercare nuove collaborazioni. È quindi necessario saper gestire il proprio tempo, e tra una cosa e l’altra le giornate volano: ecco spiegato il mio assenteismo dell’ultima settimana.

Quand’è che ci si può definire “traduttori”? Io per ora ho tradotto tre romanzi e un ebook, e ancora non mi sento una vera traduttrice, proprio perché le mie giornate sono piene di tante altre attività. Ma magari si può chiamare traduttore anche chi ha trasportato un solo libro nella nostra cultura, nella nostra lingua, nelle nostre librerie. O forse per definirsi traduttore a pieno titolo bisogna aver accumulato una montagna di esperienza, di parole e di difficoltà. Non ho ancora deciso. Nel frattempo cerco di non rinunciare ai sogni.

Inoltre, questo fine settimana andrò a Roma per il workshop di editing organizzato dalla minimum fax: ovviamente al mio ritorno vi racconterò com’è, se ne vale la pena, se è stato utile eccetera, sempre tenendo conto che si tratta di un mini-corso di tre giorni.

Per oggi mi fermo qui, il tempo scarseggia (in arrivo i colloqui con i genitori dei miei studenti, argh) e prometto che prossimamente aggiornerò il blog con qualche post più interessante. A presto!

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Corsi, seminari, workshop e chi più ne ha più ne metta

https://diariodiunatraduttrice.files.wordpress.com/2012/12/f64b8-a4.jpgI corsi per traduttori letterari sono utili? E in che modo, concretamente?

Questo post nasce dalla mia segnalazione, sulla pagina facebook del blog, di un corso per traduttori letterari organizzato dalla Herzog. Una lettrice ha segnalato che l’agenzia letteraria in questione, per esperienze personali e per averlo sentito riferire da altri, non l’ha convinta. Su facebook io segnalo alcuni dei corsi per traduttori disponibili in Italia, ma vi invito calorosamente a controllare sempre e a documentarvi su Internet riguardo alla serietà degli stessi. E, se ne avete esperienza diretta, siete invitati a commentare: questo blog nasce soprattutto come aiuto per i traduttori, quindi diamoci una mano tra di noi, che là fuori è un brutto mondo.

Detto questo, la lettrice di cui sopra ha anche consigliato, in alternativa, il validissimo corso di specializzazione per traduttori editoriali organizzato dall’agenzia TuttoEuropa di Torino: mi sento di condividere appieno il suo consiglio, avendolo frequentato anch’io. Si tratta di un corso gratuito e molto ben organizzato. Ve ne parlo in breve, prima di trattare l’argomento dei corsi in generale.

Il corso è diviso in due parti: la prima di lezioni vere e proprie, e la seconda di “stage”. Lo metto tra virgolette perché non è un vero e proprio stage in agenzia/casa editrice: si tratta di tradurre un libro insieme agli altri partecipanti. Le case editrici che pubblicano questi testi sono piuttosto importanti: Salani, Marcos Y Marcos, minimum fax, Sellerio e così via. Per questa seconda parte è previsto un impegno full time, anche se, trattandosi di traduzione, gran parte del lavoro va svolto a casa, mandando poi un’autocertificazione con il numero di ore in cui si è lavorato. La gentilissima segretaria vi spiegherà comunque tutto con estrema chiarezza.
Per quanto riguarda la prima parte del corso, invece, ovvero quella dedicata alle lezioni frontali, sono previste quattro ore giornaliere (pomeridiane). Le lezioni sono tenute da traduttori tra i più affermati in Italia, come Paola Mazzarelli, Maurizia Balmelli, Maria Nicola, Norman Gobetti, Susanna Basso, Matteo Colombo e molti altri, oltre a esponenti di case editrici importanti come Einaudi, Adelphi, Feltrinelli, Mondadori. È quindi un’ottima occasione per mettersi alla prova e per farsi valutare e consigliare da professionisti del settore. Il corso è organizzato alla perfezione, in modo molto serio, io ne sono stata completamente soddisfatta. Ogni anno vengono avviati due corsi paralleli, uno per la traduzione dall’inglese e l’altro per una lingua a turno tra francese, tedesco e spagnolo. Quest’anno tocca al tedesco, il prossimo allo spagnolo. Ormai per quest’anno i corsi sono già iniziati, ma il prossimo anno vi avviserò qui sul blog dell’apertura delle selezioni. Questa scuola ha l’enorme vantaggio di essere gratuita, e conosco diverse persone che sono venute a Torino apposta per frequentarla: a quanto mi risulta non ne sono rimaste affatto deluse. E, se ve lo state chiedendo, no, nessuno mi paga per fare pubblicità! Se avete domande, sarò lieta di rispondervi.

Ma a cosa servono, concretamente, i corsi di traduzione editoriale?

Per la mia personale esperienza, quelli all’interno dei vari corsi di laurea specialistica servono a ben poco. Le facoltà più prestigiose in questo campo sembrano essere quelle di Forlì e di Trieste, ma non avendole frequentate posso solo dirvi di informarvi sul web.

Diverso è invece il caso dei corsi post-laurea, come quello dell’agenzia TuttoEuropa di cui sopra: si tratta di veri e propri laboratori in cui tutto gira attorno alla traduzione di testi editoriali. Sono certamente più utili dei corsi universitari per quanto riguarda la conoscenza dell’ambiente. E le opportunità lavorative? Beh, quelle non ve le regala nessuno, ovvio. Diciamo che i corsi servono a entrare nel giro, a vedere un po’ come funzionano le dinamiche editoriali, e perché no, a farsi conoscere un pochino: per me è stata un’enorme soddisfazione quando Susanna Basso, alle Giornate della traduzione letteraria di Urbino, mi ha riconosciuta e salutata calorosamente. A proposito dell’università di Urbino, anche a Misano Adriatico si tiene ogni anno un master in traduzione letteraria. A Pisa, invece, c’è un master di II livello in traduzione di testi post coloniali in lingua inglese. Giusto per nominarne alcuni tra i più conosciuti, ma ce ne sono molti altri. Ricordate che insegnare la traduzione letteraria è possibile solo fino a un certo punto: c’è chi è più portato e riesce a far fruttare i preziosi consigli degli insegnanti e chi, per quanto si impegni, non possiede il famoso orecchio del traduttore: frequentare un corso o un master può aiutarvi a scoprirlo e a capire se la traduzione è davvero la vostra strada oppure no.

Il mio consiglio è di valutare attentamente i corsi che potreste seguire cercando su internet le opinioni di chi li ha frequentati, e poi (tempo e denaro permettendo) di buttarvi: ogni esperienza porta con sé qualcosa di positivo, anche se magari non immediatamente spendibile in termini lavorativi. Per esempio, io sto per frequentare un breve workshop di editing organizzato dalla minimum fax: sono sicura che sarà interessante e proficuo, quando tornerò ve ne parlerò!

Ultima informazione, che spero vi sia utile: sul sito di Biblit è presente, sotto il menu risorse – corsi&residenze, un elenco di gran parte dei corsi di traduzione letteraria esistenti in Italia: dateci un’occhiata e informatevi su internet, uno di questi potrebbe essere il vostro trampolino di lancio! Un occhio di riguardo per i corsi che prevedono uno stage finale, anche se il traduttore lavora quasi sempre come collaboratore esterno, quindi non ha molto senso fare uno stage in casa editrice: ma chissà, potreste trovare altri lavori redazionali che fanno per voi. Tenete presente però che, a quanto mi risulta – e aspetto smentite – l’unico corso completamente gratuito è quello organizzato a Torino dall’agenzia TuttoEuropa.

In bocca al lupo, e se avete esperienze o ulteriori informazioni fatemelo sapere!

PS: Ebbene sì, dopo anni di studio e soprattutto di lavoro sul campo sono diventata anche io tutor di un corso di traduzione editoriale: si chiama Tradurre per l’editoria, e sul sito troverete tutte le informazioni necessarie. È improntato sugli esercizi pratici, e insieme a Rossella Monaco di La matita rossa cercherò di trasmettervi un bel po’ di trucchetti del mestiere, oltre a gettare le basi per conoscere il mondo editoriale dall’interno.

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