Salone del libro 2014 – il mio resoconto (seconda parte)

La folla in sala professionale… Ci sono anch’io in un angolino. foto @l’AutoreInvisibile

Ed eccoci alla seconda parte del mio resoconto sul Salone del libro di Torino; se vi siete persi la prima la trovate qui. Siccome venerdì non ho partecipato all’incontro Tradurre Harry Potter (va bene, lo ammetto, non l’ho neppure mai letto: lo so, lo so, non ditemi niente) ma magari a qualcuno interessa sapere com’è andato, aggiungo anche il link all’articolo di Bookblog che ne parla. Passiamo ora ai seminari di sabato.

Un incontro che mi interessava molto e che alla fine ha fatto un po’ discutere è stato Valutare un saggio di traduzione. Le prove di traduzione sono sempre un argomento spinoso, ma se Grazia Giua di Einaudi ed Ena Marchi di Adelphi hanno cercato di spiegare i loro criteri per valutarle, mentre Federica Magro di RCS ha parlato poco delle prove e molto dei service editoriali, argomento non proprio inerente al tema del seminario. Ma andiamo con ordine.

Grazia Giua ha segnalato alcune parole chiave: responsabilità, nel senso che un editore deve assegnare le prove in modo mirato, a fronte di un incarico reale, dato che un traduttore può essere ottimo per un certo libro e inadatto a un altro; mentre la responsabilità del traduttore è principalmente l’autorialità, ossia consegnare una prova svolta interamente da lui/lei, e non imbrogliare solo per ottenere l’incarico. Investimento: la prova è un costo per tutti, in termini di tempo e denaro, ma l’editore la fa per crearsi un network di traduttori a cui attingere anche per altri testi. Remunerazione: il traduttore ha il diritto di ricevere un feedback ragionato, anche nel caso non venisse scelto. Mediazione: fondamentalmente il dilemma della correttezza formale vs. l’espressività di un testo in traduzione.

Anche Ena Marchi crede nel rapporto stretto fra editor e traduttore, e nell’ambito dei corsi di traduzione preferisce quelli che permettono un rapporto tutoriale fra “esperto” e “allievo” (che poi è il principio base del corso Tradurre per l’editoria di La Matita Rossa, non per farmi pubblicità :P ). Sapere perché si sbaglia è fondamentale, ed essere “bocciati” a una prova di traduzione vuol solo dire che non eravamo adatti a quel libro in particolare, non vengono messe in dubbio le nostre capacità traduttive (non sempre, insomma). È possibile inoltre richiedere una seconda prova, perché la traduzione non è una scienza esatta: può darsi che un altro libro si riveli più congeniale alla nostra voce.

Ha poi preso la parola Federica Magro, che ha voluto spostare il discorso sulla saggistica, ma senza affrontare il tema delle prove di traduzione. Il suo consiglio per gli aspiranti traduttori di proporsi ai service editoriali, di cui molte case editrici fanno largo uso, mi ha lasciata un po’ perplessa. La sensazione è che gli editori siano completamente scollegati dalla vita reale dei traduttori e non sappiano che questi service, che garantiscono traduzioni veloci e a costi contenuti, pagano i traduttori un pezzo di pane e li fanno lavorare con tempistiche disumane. Per fortuna è intervenuta una traduttrice, di cui purtroppo non ho afferrato il nome, che ha sottolineato questo aspetto poco pulito dei service. Federica Magro ha tentato di recuperare assicurando che loro si rivolgono a service molto seri, ma in sala si percepiva un certo scetticismo. Del resto, già i traduttori vengono pagati poco se lavorano direttamente per gli editori, se c’è un passaggio in più (e sicuramente il service qualcosa ci deve guadagnare) quanto potrà convenire a un traduttore lavorare così?

L’incontro si è chiuso con un’ulteriore nota di pessimismo: alla domanda di Ilide Carmignani su come un giovane traduttore possa proporsi per una prova di traduzione, tutte e tre le editor hanno risposto: non cominciate da noi. Insomma, il caro vecchio “dovete avere esperienza, ma noi non ve la facciamo fare”. Un po’ di amaro in bocca, dunque, per un incontro che aveva grandi potenzialità ma che si è rivelato utile solo nella teoria di una situazione ideale, quella di un traduttore già affermato (ebbene sì, anche i traduttori già noti affrontano prove di traduzione, per capire se sono adatti a un libro in particolare). L’unica conclusione da trarre è che è meglio cominciare a proporsi alle case editrici medio-piccole.

L’incontro successivo era Tradurre il ritmo della prosa, con Franco Buffoni e Donata Feroldi. È stato molto interessante, anche se alcuni degli esempi proposti mi sono sembrati un po’ troppo aderenti all’originale, al contrario di quanto veniva detto durante l’incontro. In sostanza, il concetto è che il ritmo delle frasi è importante quanto il loro significato. Non bisogna riprodurre quello dell’originale, ma trovare il respiro del testo che stiamo producendo: il ritmo coincide con la soggettività, e l’incipit è il momento in cui questo respiro si manifesta. Esiste il discorso, non le singole parole, ed è in base a questo che dobbiamo trovare la musicalità del testo, a livello prosodico, di punteggiatura e di ordine delle parole. Anche le assenze, i vuoti, fanno parte del ritmo. Buffoni ha sottolineato che con “ritmo” non si intende il metro poetico: la differenza non è fra poesia e prosa, ma tra buona scrittura, che ha una sua musicalità, e scrittura mediocre.

Passiamo a L’italiano letterario delle redazioni editoriali, incontro che sono riuscita a seguire solo in parte. Giuseppe Antonelli ha sottolineato come il concetto di “giusto” sia diverso da quello di “esatto”: bisogna perseguire la precisione, non l’esattezza, che se portata all’estremo si trasforma in un “esattismo”. Ha anche ricordato come spesso per fare bella figura si tenda ad alzare il registro (effettuare al posto di fare, recarsi invece di andare, e così via), in nome di un perbenismo linguistico non troppo apprezzabile. Negli ultimi dieci-quindici anni, secondo Antonelli, si è andati verso una sorta di grammaticalizzazione della lingua, che viene spesso gonfiata in cerca di effetti speciali, atteggiamento tipico di chi non la conosce bene e cerca di darsi un tono.

È poi intervenuta Mariarosa Bricchi, che ha parlato di permeabilità della lingua: in un ambiente chiuso come una redazione si tende a creare un linguaggio interno condiviso da chi ci lavora. Le revisioni spesso riflettono l’idea di lingua che ha l’editor, ma bisogna esserne consapevoli e saper rispettare il lavoro altrui. È stato poi sottolineato che il congiuntivo non è in via d’estinzione, anzi, spesso viene usato a sproposito. In un testo, le parole non devono essere la veste ma il corpo: inutile abbellire, adornare, arricchire a sproposito se sotto non c’è nulla.

Ho poi seguito anche Tradurre Leonard Cohen, ma la traduzione di poesie non è decisamente il mio forte. L’incontro è stato interessante, ma mi è difficile farne un riassunto. Sono state lette alcune poesie in lingua originale e le loro traduzioni italiane, e Giancarlo De Cataldo e Damiano Abeni hanno raccontato alcuni aneddoti riguardo al loro lavoro di traduzione.

Per finire ho ascoltato Susanna Basso parlare di Tradurre Alice Munro, ma anche qui è impossibile trasmettere in poche parole tutto ciò che è stato detto da questa donna eccezionale. Per fortuna il testo dell’incontro è disponibile online sul sito della rivista Tradurre.

Sabato ho concluso la giornata letteraria andando in centro a Torino, a Il Camaleonte Piola, a sentire la seconda presentazione condotta dalla mia amica Lettrice Rampante. Stavolta toccava a Iddu. Dieci vite per il dio del fuoco, di Andrea Vismara, sempre di Spartaco Edizioni, e nonostante il pubblico non fosse numeroso – o forse proprio per questo – è stato bello, si respirava la voglia di conoscere storie nuove. Spesso i piccoli editori riservano belle sorprese, quindi non sottovalutiamoli, anche se molti non traducono.

Quest’anno non ho fatto il consueto giro per chiedere i contatti agli editori. Non perché credo sia inutile, ma perché al momento per fortuna sto lavorando parecchio, e in ogni caso ho ancora tutti i contatti raccolti l’anno scorso. Non ho neppure fatto molti acquisti, un po’ per via dei pochi sconti che si trovavano agli stand, un po’ perché tra un incontro e l’altro non ho avuto moltissimo tempo per girare. Anche se il bello del salone è proprio questo, perdersi fra pagine e copertine, magari evitando accuratamente gli stand dei grossi editori, che tra luci accecanti, fascette esagerate e copertine tutte uguali assomigliano più a centri commerciali che a poli culturali. Non tutto positivo al 100%, anche considerando che all’interno del Salone i cellulari prendevano a singhiozzo e internet pure, e la sala “professionale” (modificata dal terribile calco “professionali” dell’anno scorso, ma anche “sala professionale” non è che abbia molto senso) era difficile da trovare, piccola e rumorosa come al solito. Ma sono contenta di esserci andata.

Il mio Salone si è concluso domenica, anche se non sono riuscita a seguire l’evento che avevo in programma perché ho dovuto passare mezza giornata in casa editrice… Curiosi? Al prossimo post!

 

4 commenti

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4 risposte a “Salone del libro 2014 – il mio resoconto (seconda parte)

  1. Dreaming Alice

    Grazie mille per il resoconto (la prima parte l’ho già letta)! Mi ha stupito molto, devo dire, leggere dei pochi sconti: alla fiera di Roma dell’anno scorso (era la mia prima volta) ho comprato moltissimo proprio grazie agli sconti, ho preso libri per me e libri da regalare. Non fosse stato per il peso del bagaglio (muoversi in aereo è una gran rottura) avrei svaligiato mezza fiera ;)

  2. flaviostandoli@gmail.com

    L’ha ribloggato su Flavio Standoli.

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