Cosa non accettare mai

Questo post è in parte ispirato all’intervento di Sandra Biondo (STradE) alle Giornate della Traduzione Letteraria di Urbino. La ringrazio per la sua interessantissima lezione e vi invito a visitare il sito del sindacato traduttori editoriali STradE e a procurarvi il Vademecum legale e fiscale da loro stilato.

 

Il mestiere del traduttore, si sa, è spesso sottovalutato. Può quindi capitare di ricevere “proposte indecenti” fra le quali è bene sapersi destreggiare. Non fatevi prendere dall’emozione di aver avuto finalmente il contatto tanto sperato con una casa editrice: per il bene di tutta la categoria, ci sono alcune condizioni da non accettare mai. Vediamo quali.

 

  • Pagamento alla pubblicazione (o, peggio ancora, al raggiungimento di un certo numero di copie vendute): il mercato editoriale cambia di continuo, e non è detto che un libro acquistato oggi venga poi effettivamente pubblicato domani. Il pagamento alla pubblicazione è dunque molto pericoloso: il compenso che vi spetta potrebbe non arrivare mai, oppure arrivare dopo anni e anni. Non è certo una situazione desiderabile. Nel contratto dovrebbe essere specificato il termine entro il quale il libro dovrà uscire in libreria, ma non fidatevi di questa clausola e pretendete il pagamento alla consegna del vostro lavoro.

 

  • Pagamento a royalties: è una pratica propria soprattutto dei piccoli editori, che non hanno grandi speranze di vendita. In pratica, offrono al traduttore una percentuale sulle copie vendute anziché pagare il lavoro a cartella. A meno che non traduciate un best-seller, è molto difficile ottenere in questo modo un guadagno anche solo decente. Supponiamo un prezzo di vendita di 15€ per un libro di media lunghezza, diciamo duecento cartelle, per comodità di calcolo. In questo caso, anche se la percentuale offerta fosse un generosissimo 10% (cosa che non avviene praticamente mai, in genere si ferma al 5%), ovvero 1,50€ a volume, l’editore dovrebbe riuscire a vendere come minimo duemila copie per consentirvi un guadagno soddisfacente. Facile per un grosso editore, più improbabile per gli editori più piccoli, e infatti sono proprio questi ultimi a proporre questo genere di contratti: investono poco e pretendono di condividere con voi il rischio della pubblicazione. Ovviamente non tutti i piccoli editori si comportano così, ma state bene attenti a queste proposte: state offrendo un lavoro completo e professionale, non spetta a voi assumervi i rischi editoriali.
    Se le royalties fossero in aggiunta a un compenso di per sé dignitoso, ovviamente, il discorso cambierebbe, anzi, è auspicabile che ciò avvenga: spesso a decretare il successo di un libro o di un autore è anche la traduzione, e sarebbe sacrosanto riconoscere il merito del traduttore. Il sindacato STradE si sta impegnando anche in questo senso.

 

  • Corsi a pagamento “propedeutici” a un possibile contratto: sulle mailing list di traduttori, come quella di Biblit, ogni tanto qualche aspirante traduttore chiede consiglio riguardo a offerte di questo tipo. In rete si trova una vera e propria inondazione di annunci di una casa editrice che propone un contratto di traduzione letteraria legato alla partecipazione a un corso, ovviamente a pagamento, organizzato dalla casa editrice stessa.
    Dell’ormai famoso caso Faligi si è parlato approfonditamente su No Peanuts for Translators (qui  e qui), ma se siete di fretta potete trovare un riassunto su questo blog). Mi limito ad aggiungere che purtroppo molti ci cascano sperando che questa offerta possa essere un trampolino di lancio, ma le occasioni sono ben altre: dover pagare per lavorare è assurdo e non porta a nulla. Inoltre, a parte il fatto che non è detto che il contratto arrivi, questo prevede un pagamento a sole royalties: vedi sopra.

 

  • Tariffe indecenti: vi rimando al mio post sulle tariffe, che probabilmente approfondirò in seguito. Per ora aggiungo solo che accettare tariffe infime fa male alla professione: finché ci sarà qualcuno che si presenta come professionista e lavora a poco, perché gli editori dovrebbero voler pagare di più? Mi rendo perfettamente conto che se una proposta non la accettiamo noi ci sarà sempre qualcun altro disposto ad accettarla, e che, almeno all’inizio, l’idea di accumulare un po’ di traduzioni sia piuttosto allettante. Parlo di un mondo ideale, in cui è possibile rimanere fedeli ai propri princìpi: so che non sempre è possibile, purtroppo.

 

  • Contratti in cui non vengono specificati i nostri diritti: in un contratto deve sempre essere indicato il termine entro cui si verrà pagati (solitamente 60 giorni dalla consegna), la tariffa a cartella, più il dettaglio di quali diritti stiamo cedendo con la nostra traduzione (formato cartaceo, elettronico, diritti cinematografici, eventuali adattamenti per edizioni ridotte…), e per quanto tempo (in genere vent’anni, anche se talvolta è possibile negoziare). Queste informazioni ci devono essere, e se non le vedete chiedete che vengano inserite.

 

Spesso, la “scusa” per accettare questo tipo di contratti è che in questo modo si fa curriculum: niente di più sbagliato! In un curriculum non è importante solo la quantità, ma anche e soprattutto la qualità. Nell’ambiente si sa quali editori sono seri e quali no, e aver pubblicato una o più traduzioni con una casa editrice a pagamento non è certo un segno di professionalità. State bene attenti a cosa vi propongono, non lasciatevi trascinare dall’entusiasmo e ricordate che un contratto di traduzione in perfetta regola non è un favore che gli editori ci fanno, è un nostro diritto.

 

6 commenti

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6 risposte a “Cosa non accettare mai

  1. Concordo quasi su tutto.. “quasi” perché, beh… tu hai mai visto un contratto che non prevede il pagamento dopo la pubblicazione?!
    Io personalmente no, e nemmeno altri traduttori (più affermati di me) :/

  2. alissa

    Sono una neolaureata in Traduzione e purtroppo l’unica “esperienza” che ho avuto finora in campo editoriale è stata una prova di lettura per un piccolo editore, che più avanti m’ha proposto anche una prova di traduzione (tra l’altra la proposta era stata mandata anche ad altri traduttori, stile “vinca il migliore”). Peccato che il pagamento previsto per chi si aggiudicava la traduzione fosse esclusivamente in royalties al 5%. Sentendo puzza di fregatura, ho chiesto consiglio alle mie ex-docenti e ho deciso di rifiutare. Sì, avrei avuto finalmente un libro da mettere sul cv, ma avrei tradotto 400 pagine senza avere la certezza di un pagamento: direi che il gioco non valeva la candela…

    • Direi proprio di no… Putroppo è una prassi piuttosto comune fra i piccoli editori, che si ritrovano una traduzione fatta praticamente gratis senza rischiare un centesimo, e pagando pochissimo pure le royalties!

  3. Pingback: L’invisibilità del traduttore | Diario di una traduttrice editoriale

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